La bancarotta dei sequestri di persona
Alla fine degli anni novanta del secolo scorso collassa un’ impresa criminale multiforme che per molto tempo ha fatto buoni affari, parecchie vittime e tenuto alto il livello dell’allarme sociale. I due pilastri dell’impresa che non hanno significativi punti d’intesa tra loro, sono la cosiddetta “anonima sarda” e la “’ndrangheta “calabrese. La prima colpisce sull’isola e nelle regioni del centro-Italia dove i latitanti trovano rifugio e assistenza per vincoli di parentela e per comunanza di provenienze. La seconda si sposta per la penisola , anche al nord, e poi ripiega sull’Aspromonte che controlla palmo a palmo. L’industria dei sequestri di persona però chiude bottega,appunto alla fine degli anni novanta perchè il business non c’è più. Individuare la vittima prelevarla, tenerla prigioniera, fare il ricatto, tenere i contatti con la famiglia, trattare, prelevare il riscatto, liberare l’ostaggio :sono operazioni che richiedono forti investimenti iniziali (per pagare il silenzio delle complicità e le coperture dei latitanti, per gli spostamenti, per la logistica in genere ) e il coinvolgimento di una alto numero di persone. Persone con le quali poi tocca dividere. E da dividere, nel bilancio costi-ricavi c’è sempre meno a fonte di rischi altissimi e in crescita. La specializzazione delle forze di polizia ha migliorato i suoi standard, la caccia ai ricercati (ai quali in genere spetta il compito di carceriere) diventa sistematica, cede qualche maglia nel reticolo delle omertà, entra in vigore una legge che blocca i beni di chi è chiamato a pagare il riscatto . Certo c’è la possibilità, da parte dei familiari delle vittime di eluderla questa legge, ma è comunque una grossa complicazione. Ci sono state poi alcune Procure della Repubblica (quella di Perugia per prima) che la normativa l’hanno anticipata applicando il codice penale: blocco dei beni per evitare che un grave reato venga portato a compimento. L’”anonima” trova ,nel momento del tracollo di questo ramo d’impresa, più redditizio rapinare banche e furgoni postali (in ogni parte d’Europa).Ma ,osserva Fausto Cardella, capo della Procura di Terni l’industria dei sequestri di matrice sarda finisce forse “anche perché l’anonima non ha rapporti con la politica”. La “’ndrangheta” scopre, nello stesso periodo, il fattore moltiplicatore della droga e del traffico degli esseri umani. E lo scopre, come nota il criminologo Fabrizio Fornari utilizzando i capitali “ dell’accumulazione primaria “ che la criminalità organizzata calabrese ha fatto proprio con i sequestri di persona. Cocaina ed eroina producono enormi profitti da riciclare nell’economia pulita dove avviene l’incontro tra affari e politica : siamo alla mafia dei colletti bianchi. Un’altra storia, un’altra epoca criminale che secondo il cronista di giudiziaria Italo Carmignani “ è lo specchio di un’altra Italia, quella di oggi”.Sono stati questi alcuni degli argomenti toccati in occasione dell’incontro-dibattito sull’”Umbria attraverso il crimine “ promosso dal parlamentare Giampiero Bocci a Spoleto, Chiostro di San Nicolò,in occasione della presentazione del libro “Un Bambino da fare a pezzi” di Alvaro Fiorucci. Una rilettura attraverso le lenti dell’inchiesta giornalistica del sequestro di Augusto De Megni,10 anni, avvenuto a Perugia nel 1990 e delle indagini che portarono alla liberazione dell’ostaggio a Volterra 111 giorni dopo. Tutti i sequestratori furono individuati,processati e condannati. 20 miliardi di lire il riscatto, il più alto della storia dei sequestri di persona. Che non fu pagato. Il libro è uno spaccato del mondo criminale , delle tecniche investigative e della società perugina di allora che aggiunge particolari e fatti sfuggiti alla cronaca di quei giorni: la vittima designata non era il bambino,ma il padre; un informatore della polizia ucciso dopo che lo Stato aveva liquidato con 800 milioni lire il suo contributo alle indagini;il parente di uno degli arrestati freddato sulla porta di casa per far ritrattare una testimonianza; una truffa tentata da tre Venerabili al capo della Massoneria di Rito Scozzese, ossia il nonno,Augusto De Megni senior. Fausto Cardella è il magistrato che coordinò il lavoro della polizia e dei carabinieri e che decise il sequestro dei beni per impedire il pagamento del riscatto. Fabrizio Fornari è docente dell’Università di Perugia . Italo Carmignani è cronista di giudiziaria del quotidiano “il Messaggero”.