Il caso Narducci e il Mistero di Carta
Un mese o poco più e si saprà che cosa ha visto il giudice che con la lente d’ingrandimento del codice ha percorso ogni anfratto di una parte del mistero di carta costruito a più mani in otto anni di indagini sulla morte di Francesco Narducci avvenuta nel lago Trasimeno nell’ottobre del 1985. Il giudice dell’ udienza preliminare Paolo Micheli ( è il magistrato che ha condannato Rudy Guedè e ha rinviato a giudizio Amanda Knox e Raffaele Sollecito per l’omicidio della studentessa inglese Meredith Kercher) di fronte alla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero Giuliano Mignini per venti persone (parenti,amici e colleghi del medico perugini, uomini dello Stato) che avrebbero contribuito a nascondere una data verità, mentendo, depistando, sviando, ha stabilito che nessuno degli indagati con le prove portate in aula può essere mandato a giudizio. La formula è: “non luogo a procedere”. Discorso chiuso, dal punto di vista delle accuse presunte e delle responsabilità individuali altrettanto presunte. Allora perché c’è attesa ed interesse intorno a quelle che saranno le motivazioni di questo “non luogo a procedere”. L’ipotesi investigativa che ha guidato il lavoro di Giuliano Mignini, sostanzialmente è questa: Francesco Narducci è stato ucciso e non è morto per disgrazia o per suicidio e il delitto è maturato in ambienti prossimi alla macelleria del Mostro di Firenze. Dalla sua la pubblica accusa ha il fatto che quando fu ritrovato il cadavere di Francesco Narducci non si fece l’autopsia e non si fecero indagini,poi una serie di testimonianze recuperate dopo 17 anni ,documenti , consulenze medico-legali , indagini di varia natura. Risultanze ritenute valide per sostenere un’altra cosa ancora: il cadavere di Francesco Narducci non è quello ripescato a Sant’Arcangelo di Magione il 13 ottobre perché il medico ,in realtà è stato ucciso l’otto ottobre, il cadavere fatto ritrovare il 9 ottobre,ma a San Feliciano da dove il gastroenterologo era partito con il suo motoscafo per poi scomparire. Cadavere nascosto in attesa di un secondo cadavere utile allo scopo. Scambio di cadaveri, il 13 ottobre, per mascherare l’omicidio perché se l’omicidio si fosse appalesato si sarebbero trovate tracce del Mostro di Firenze e questo non doveva accadere per una serie di ragioni che il pm annota con puntiglio nelle sue carte. Un teorema accusatorio che i consulenti e i difensori di tutti i soggetti investiti dalle indagini hanno confutato, respinto, bocciato con una lettura opposta dei dati di fatto. Bene, con questi elementi Giuliano Mignini ha portato a termine due inchieste: la prima indagando cinque persone per omicidio, la seconda ipotizzando reati a carico di quella ventina di presunti costruttori del “grande depistaggio” che avrebbe custodito per anni il segreto dell’omicidio nascosto. Questa ipotesi investigava negli anni ha retto a vari esami: del giudice delle indagini preliminari,del Tribunale del Riesame, della Cassazione. Ha retto l’ipotesi investigativa, ma non l’individuazione dei presunti protagonisti di entrambi i capitoli che compongono il mistero di carta. Per l’omicidio è stato lo stesso pm a chiedere l’archiviazione e il proscioglimento: non ha trovato le prove a carico degli indagati e si è arreso, almeno su questo versante del fronte. Il giudice Marina De Robertis ha archiviato e ha prosciolto, ma con una sorpresa. Nelle sue carte la morte di Francesco Narducci è un omicidio, come sostiene la pubblica accusa, ribaltando le conclusioni dell’archiviazione di venti anni fa che parlava di annegamento per incidente. I termini di questa archiviazione ovviamente non sono stati condivisi dalle difese – meglio, le loro conclusioni sono diametralmente opposte e ancorate alla disgrazia appurata, a loro avviso, nel 1985 il resto sono fantasie,al massimo congetture senza prove- hanno fatto ricorso in Cassazione. La Corte di Cassazione ha definito, senza entrare nel merito dei fatti, “inammissibile“il ricorso . Dunque nelle carte del giudice Marina De Robertis almeno un punto fermo giudiziario c’è. Sembrerebbe di non poco conto anche se c’è chi, diritto alla mano, dice che le somme non vanno tirate così e che il risultato non è questo. Mah. La seconda inchiesta, il secondo aspetto del mistero di carta, è quella del “grande depistaggio” del quale si è detto. Questa si è sostanzialmente chiusa con il lungo elenco di “non luogo a procedere” di Paolo Micheli nei confronti degli indagati per i quali era stato chiesto il processo. Ora le motivazioni del giudice sono attese proprio per conoscere le valutazioni nel merito del teorema che ha ispirato il lavoro di Giuliano Mignini e di tutti gli investigatori che hanno lavorato con lui. E, ancora, per leggere come le sue considerazioni finali si incastrano o collidono, si avvicinano o si allontano, dalle considerazioni finali di altri giudici che hanno esaminato la materia. E per capirle. Perché? Ma perché questa dolorosa,intricata e intrigante , complessa e complicata, vicenda giudiziaria nata come “diceria del Mostro” tanti,tantissimi, anni fa potrebbe anche non essere finita qui.