Meredith Kercher: le indagini zoppe e il dna
Sembra(è)decisiva la valutazione della prova scientifica (dna) per stabilire se Amanda Knox e Raffaele Sollecito, condannati a 26 e a 25 anni di carcere, devono scontare anni di reclusione da colpevoli dell’omicidio di Meredith Kercher o devono essere, dopo quattro anni, tornare liberi da innocenti. Sembra(è)decisiva questa prova perche l’inchiesta sul delitto non ha altri punti di pacifico ancoraggio:non le contrastate testimonianze, non i discutibili elementi circostanziali, non il contenuto delle non univoche intercettazioni telefoniche e ambientali.
La prova tecnica trovata dalla polizia scientifica era stata ritenuta certa al processo di primo grado: tracce biologiche sul coltello considerato arma del delitto collocano Amanda Knox quantomeno sulla scena del crimine; tracce biologiche sul gancio del reggiseno della vittima collocano quantomeno Raffaele Sollecito nella stessa stanza di via della Pergola. Prova certa- seppur contestata frontalmente dagli esperti dalle difese – e ci fu la sentenza di condanna.
Quella certezza è stata poi messa in discussione dai giudici della Corte d’Assise d’Appello che hanno chiesto ad altri esperti/periti di analizzare di nuovo ,se possibile,il materiale repertato e, se non possibile per il deterioramento dei reperti, valutare la validità delle procedure seguire per arrivare alla formazione di quella prova ritenuta certa.
I periti hanno valutato e hanno ridotto quella certezza a un cumulo di incertezze, se non di errori veri e propri. Le metodologie di sopralluogo,i procedimenti di campionatura, le conclusioni sulla lettura dei responsi di laboratorio, tutto sbagliato. E adesso?
Adesso c’è il dibattimento in aula dove i consulenti- della- prova-certa si confronteranno con i periti- della prova-sbagliata. Sarà una lezione bipolare di grande fascino scientifico di interessante attrattiva accademica. Come prevede la procedura e come è giusto che sia. L’esito è scontato però:ognuno rimarrà sulle proprie posizioni. Saranno i giudici togati e i giudici popolari (?) a farsi- nello scontro inevitabile e non sempre facilmente accessibile e/o chiarificatore – tra cattedratici- la giusta convinzione necessaria per un verdetto al di la di ogni ragionevole dubbio.
Ma perché il processo si ritrova aggrappato alla sola prova scientifica (c’è chi come il penalista Giuseppe Caforio suggerisce una ulteriore perizia di periti altri per un migliore orientamento in questa perigliosa e accidentata lettura di Dna) e da questo unico ancoraggio scegliere la rotta di giustizia?.
Le sole indagini scientifiche solo se hanno risultati inequivocabili e di lettura univoca e condivisa sono di per sé risolutive. E non è-lo abbiamo visto- il caso dell’omicidio di Meredith Kercher.
Le indagini scientifiche sono risolutive quando confermano o smentiscono indizi e prove trovate per altre vie. Quelle percorse dalle cosiddette indagine classiche: ricerca di testimoni, intercettazioni,pedinamenti, riscontri incrociati su fatti e circostanze apparentemente incongruenti. E, lo abbiamo visto,queste vie sono risultate non percorse/impercorribili per il delitto di via della Pergola.
Indagini zoppe,indagini alle quali manca-par di vedere- la gamba delle investigazioni sul campo che- non solo per il delitto di Perugia,ovviamente- per un lungo tempo sono apparse fuori moda, all’antica. Forse c’è stata fretta nel <<chiudere il caso>> perché era questo che voleva (allora)l’opinione pubblica. Si è fatto a meno, per andare più spediti, di qualche giorno in più di pedinamenti, intercettazioni, riscontri altri. Potevano essere giorni utili tanto all’accusa che alla difesa. Ma questi giorni sono mancati e ,in fondo, sono apparsi inutili quando la scena del crimine ha dato segnali ritenuti più che evidenti per procedere speditamente. Non è che le indagini tradizionali siano state tralasciate,anzi. Sono apparse però costantemente sullo sfondo, come relegate nello spazio del superfluo. E il fatto che innocente,Patrik Lumumba, si sia fatto giorni di carcere da presunto complice-colpevole, è stato un campanello che ha dato l’allarme in ritardo. Come un allarme tardivo e quindi inascoltato è stata la constatazione che le tracce di certe scarpe da footing non erano calzate da Raffaele Sollecito,ma da Rudy Guedè.
Ecco dunque che, fatta la tara alle recenti accuse di Rudy Guedè, ai testimoni che sono passati davanti ai giudici più volte, ai ricordi che vanno e che vengono e che si contraddicono ,il processo per l’assassino di Meredith Kercher resta appeso ad un solo perno:la contrastata prova scientifica la cui sorte è appesa alle certezze diverse degli scienziati. Un solo perno perché è su questo,stringi,stringi, che i giurati dovranno maturare convinzioni decisive. A meno di improbabili colpi di scena.