Madre e figlio morti ammazzati e il mantra di Cenerente
E’ da venerdì che la risonanza di un mantra innocente e immondo fa da controcanto al biascicare di una giaculatoria stupefatta e impaurita. Il mantra di Cenerente dice: <<che non sia come Ramazzano>>. Un dire osceno e bugiardo, fino a prova contraria. Ma necessario: viviamo tempi in cui circoscrivere arriva a significare esorcizzare. Esorcizzare per sconfiggere il nemico. Subito, anche quando il nemico non si sa chi sia. Subito perché bisogna chetare la paura. Il mantra dice così perché è nella celebrazione di un rito collettivo che vuol salvare la comunità dal rischio di una Ramazzano senza requie e senza confini. Il mantra dice così e fa una classifica delle dimensioni delle tragedie e dei gradi del dolore egoistica e dunque inaccettabile. Il mantra dice << che non sia Ramazzano>> perché vorrebbe evocare una storia diversa e breve. Una storia semplice, chiusa in se stessa, dalla quale, comunque, la comunità più grande,quella oltre quei pochi acri di terreno che hanno fatto da piattaforma alle telecamere, abbia nulla da temere. La possa dunque sentire di altri. Confinata in altri.Con un suo inizio e una sua fine. E fine vuol dire senza possibilità di replica per un pubblico indiscriminato al quale potrebbe toccare di assistere e subire lo stesso spettacolo di sangue e di violenza senza aver comprato il biglietto per quel teatro. Lo stupro di Pietramelina e l’omicidio di Luca Rosi, per capirci, non sono, da questo punto di vista, storie finite. E’ vero in carcere ci sono quattro persone: lo stupratore della cinquantenne che è l’ omicida presunto del bancario,due suoi complici e il basista della spedizione nella villetta del ristoratore che quella notte era coperta di neve. Per gli inquirenti sono stati loro,il caso è chiuso, sia fatta giustizia nei tribunali e alla Corte d’Assise. Tutto questo che è il risultato di un buon lavoro, non è però un dato che dà al fenomeno da cui proviene un fermo permanente:altri balordi tra un’ora o domattina, possono prendere il posto di quelli catturati e mettersi in giro a tenere sui carboni la tranquillità di coloro che hanno il diritto di sentirsi al sicuro. E a far affluire ai convegni valanghe di spunti intorno alla questione sicurezza dei cittadini. Per primi lo sanno che il dato di fatto è questo,proprio loro che, con la professionalità che sanno darsi e con le risorse che non gli danno, combattono il crimine ogni giorno. Giorno dopo giorno. Per questo anche loro hanno recitato,sommessamente come tutti, il mantra di Cenerente: <<non sia come Ramazzano>> il duplice omicidio di Maria Raffaelli e di suo figlio Sergio Scoscia. L’hanno recitato, come altri hanno fatto, consapevoli del diverso peso di una pista rispetto ad un’altra. Pur significando questo mantra fare una classifica del valore delle tragedie (un duplice omicidio è sempre un lutto collettivo) e dell’incidenza sociale del contesto. Operazione doverosa per le conseguenze che la geometrica progressione del crimine in tutti i rami delle sue specializzazioni sempre più raffinate,brutali e oscene ha sulla collettività. Pur non significando questo mantra privilegiare una pista a discapito di un’altra. Al numero uno della lista compiti degli inquirenti c’è il compito di cacciare i colpevoli, passando per la lettura della scena del crimine, dei dati delle autopsie, dei possibili moventi. Ed e’ quello che stanno facendo in queste ore. Che è,.giustamente, tutt’altra cosa che farsi trasportare dalle suggestioni di un mantra che allontana o evoca. Quando arriveranno fatti e prove il mantra,come ogni altra orazione , si perderà nel vento. O resterà soltanto nei ricordi del credente che l’ha mormorata.