Napolitano,la trattativa e il parlar d’altro
Ora la notizia non è quello che dice ( o si vorrebbe che dicesse) il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. La notizia sta in quello che succede , dai commenti, alle reazioni, dalle prese di posizione alle proposte di legge, intorno all’inchiesta della Procura della Repubblica di Palermo sulla trattativa tra emissari della mafia ed emissari dello Stato per far finire la stagione delle bombe in cambio della fine delle misure restrittive più dure previste dal 41 bis per killer e capifamiglia. Ora la notizia sta nel fatto che pur apparendo ogni giorno più evidente- segreto istruttorio o non segreto istruttorio- che una trattativa c’è stata con tanto di dare e avere, questo ,il fatto, il cuore della notizia, viene messo dietro le quinte. Al massimo resta sullo sfondo. Prende il sopravvento, conquistando il centro del palcoscenico delle rappresentazioni , quelle televisive come quelle parlamentari, la polemica politica che tira l’opinione pubblica da un’altra parte .Come è successo per i tanti misteri italiani, dagli stragismi con coloritura politica ai terrorismi neri e rossi, dalle Logge coperte alle reti di eserciti riservati.. Come dire niente di nuovo. Eppure è proprio questo niente di nuovo che preoccupa perché induce se non altro alla rassegnazione. O ,peggio ,all’indifferenza. Buttarla in rissa politica se non destabilizza,quanto meno tira da un’altra parte. E infatti: riecco la questione delle intercettazioni telefoniche da imbavagliare anche quando sono un prezioso strumento investigativo e di informazione quando diventano pubblicabili e sono pubblicate senza eccessi ma con rigore assoluto e massimo equilibrio tra diritto di cronaca e tutela della privacy; riecco che si confondono le prerogative del Presidente della Repubblica con quelle del presidente del Consiglio dei Ministri, riecco che se parlano i piemme, fosse anche solo per chiarire, è un parlare in cerca di audience (anche se la giusta continenza talvolta si perde) per tornaconto personale futuro; riecco che s’accatastano annunci di proposte di legge, di riforme necessarie ormai da decenni,ma sparate come minacce non per necessità ma per buona occasione, di accordi sottobanco per il governo che verrà; riecco che la colpa è dei giornalisti (anche di quelli che fanno soltanto il loro lavoro), dei magistrati (anche di quelli che applicano la legge e se ne sbattono delle etichette), della politica (anche di quella che non è soltanto talk show), di che cosa deve venir prima o dopo nell’agenda del ministro dell’agenda del ministro Severino.
Insomma rieccoci prossimi al qualunquismo. Ma qualunquismo non nel senso di antipolitica, antipartito, nuovo (?) che avanza. No, qualunquismo nel senso di perdita forzata di orizzonte e di memoria. Di induzione all’ Alzheimer dei fatti: c’è stata o no una trattativa tra Stato e mafia?Chi l’ha ordinata? Chi l’ha portata avanti? Se c’è stata aveva una ragione (?) di Stato? C’era uno Stato senza alternative di fronte alle bombe mafiose?Attenzione: di questo non si parla. Si parla d’altro ,di cosa dovrebbe dire e fare Giorgio Napolitano, del peso di silenzi e di ricordi, della lunghezza della telefonata intercettata tra l’indagato Nicola Mancino e il Quirinale, di Pietro Grasso che si sente nel 1992 (di quegli anni del resto si parla) di scoop di nuova generazione, quelli che si farebbero con la ricostruzione indiretta (nel migliore dei casi) o con l’immaginazione complottarda (nella peggiore delle ipotesi). E la trattativa? Ce lo dirà l’inchiesta. Ammesso che questa riesca dove tante altre hanno fallito e cioè giungere quanto meno ad una verità giudiziaria. Una verità che bruci i sospetti, che imprigioni i retropensieri, che sfarini i dubbi : che ci sia un approdo da paese normale. Non c’è altro da fare. Non c’è altro da attendere, se l’attesa è per la verità. Se l’attesa ha secondi e terzi fini, allora tutto ci può stare . Anche la sarabanda di questi giorni. Giorgio Napolitano ha ragione a difendere le prerogative che la Costituzione assegna al Capo dello Stato. Non poteva non sollevare il conflitto di attribuzione una volta che si è trovato intercettato, e ora non può far altro che attendere la della disamina della Corte Costituzionale. Non l’esito di una guerra che non è stata dichiarata: non l’ha dichiarata la magistratura con le sue doverose indagini; non l’ha dichiarata il Quirinale con l’altrettanto doveroso ricorso. Questo da Presidente della Repubblica. Non può far altro che aspettare, anche lui, l’esito dell’inchiesta per avere illuminato questo pezzo di storia italiana . Questo da cittadino. Come tutti i cittadini che hanno il diritto di sapere. E’ solo e in fondo disarmato nel suo ruolo rispetto a tutto quello che smuove il grande ventilatore degli interessi molteplici che potrebbero essere incoffessabili e magari destabilizzanti. Chissà. Taluni dicono: allora rendesse pubblico il contenuto delle intercettazioni. Scomparirebbero la paura e il rischio che anche la trattativa diventi un nuovo torbido mistero italiano tra i tanti che hanno e ammorbano il paese proprio per il loro permanere misteri. Non può farlo il Presidente, non può farlo il suo interlocutore ( l’unico dei due soggetto all’ascolto investigativo). Le intercettazioni ce le ha infatti sotto chiave a quattro mandate come stabilisce il Codice , la Procura di Palermo che le ritiene insignificanti rispetto al nucleo attivo dell’inchiesta e non le ha fatte entrare nel fascicolo dove sarebbero prima o poi a disposizione delle parti. In questo caso, a quanto pare, non lo saranno mai. Vanno distrutte, ma ci sono incertezze sul percorso giudiziario che devono fare prima della distruzione. Insistere è solo dare una tacca in più al ventilatore. Il complotto semmai è nella mente di chi ostacola il lavoro degli inquirenti. Il complotto semmai è di chi parla d’altro per servire altri interessi. Che possono essere coincidenti con quelli di una eventuale copertura della ricostruzione del nascere e del morire della stagione bombarola dei boss e dei loro sodali. Giorgio Napolitano ora non potrebbe riferire (eventualmente all’opinione pubblica) neanche se quelle registrazioni finissero,per un qualche scherzo della storia, perché altrimenti non può darsi un’eventualità del genere, in mano sua. Non potrebbe farlo perché significherebbe assecondare o piegare alla forza del ventilatore proprio quelle prerogative che vanno difese in quanto perni di democrazia. Forse, forse però. Forse, però se Giorgio Napolitano sollevando il conflitto di attribuzione avesse potuto aggiungere : quello che si siamo detti è questo, avrebbe forse tolto di mezzo tutti gli alibi ai quali in tanti si sono attaccati per parlare d’altro e non della trattativa. Ma non ha potuto. E non è questo il punto.C’è stata o no una trattativa tra lo Stato italiano e la Mafia siciliana per scambiare bombe e 41 bis ? Questo e il punto.