Trattativa stato-mafia:il rumore nemico della verità
Dunque una Procura della Repubblica ,quella di Palermo, raccoglie tracce evidenti di una trattativa tra lo Stato (pezzi dello Stato?) e alcuni preminenti capi della mafia siciliana ben al dentro delle cose della politica, per far cessare la stagione delle stragi dei primi anni novanta del secolo scorso. Stagione di stragi che la mafia mette con determinazione,mezzi e ferocia nella galleria delle stagioni della criminalità organizzata isolana perchè il carcere duro ,il 41 bis, impedisce ai capi di essere capi fino in fondo come sempre hanno potuto stando anche dietro le sbarre. Stagione di stragi perché si sta liquefacendo il grumo di potere di derivazione democristiana nel quale per decenni si sono incistati affari alla luce del sole, affari indicibili, gli omicidi di chi ha provato, per conto dello Stato, ad usare il bisturi ed asportare almeno le metastasi già diventate tumore evidente. Stagione di stragi perché, primi anni ’90, il quadro politico è in evoluzione e i mafiosi meno accorti , ma una spanna più pratici, non lo sanno decifrare ancora e cercano di diradare la nebbia con il tritolo e similari. Facendo nicchiare quei compari che, più attendisti e cauti, temono che troppo sangue alla fine vada ad impantanare anche i passi di chi confida sulla catarsi che i vecchi metodi,i percorsi di una vita, hanno saputo produrre in altri momenti difficili. Lo Stato (o parti dello Stato) avvicina che ritiene opportuno avvicinare: basta con le bombe, basta con i morti, e si può addomesticare il 41 bis, si può ritoccare la legislazione, si può tornare ai vecchi tempi. Nella sostanza trovano tracce di tutto questo gli inquirenti della Procura della Repubblica di Palermo. Nel tentare di metterle meglio in evidenza l’innominabile ricerca di un patto con la mafia su un registratore degli investigatori finisce una conversazione telefonica che secondo alcuni giuristi di forte preparazione costituzionalistica non doveva finirci. O meglio doveva essere subito distrutta, senza un successivo ascolto e men che meno senza un accenno a trascrizioni di sorta. Si perché a un apparecchio c’è l’ex presidente del senato e al tempo ministro dell’interno Nicola Mancino e all’altro c’è il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nessun problema con Nicola Mancina. Il finimondo, una bagarre,il solito gridare politicamente interessato che se fosse possibile andrebbe oltre i 360 gradi , con il presidente Giorgio Napolitano perché il Presidente della Repubblica Italiana, per costituzione non può essere indagato se non per alto tradimento .ò figuriamoci se è lecito sparlo. La Procura palermitana finisce sotto un’Hiroshima di polemiche . Servono a nulla le precisazioni sulla correttezza della procedure , sulle ragioni della non distruzione, del contenuto salvaguardato di quelle conversazioni sollecitate dall’antico conoscente Mancino. Conversazioni registrate non per un fine misterioso ma per verificare le ipotesi di reato di un mistero che colpirebbe al cuore la democrazia.Servono a nulla neppure le precisazioni del Quirinale: il conflitto di attribuzione Giorgio Napolitano l’ha sollevato per tutelare un principio costituzionale. Sollevare il conflitto non è una sua prerogativa e un suo dovere secondo prassi e secondo correttezza dei rapporti tra i poteri dello Stato.Serve a nulla anche l’intervento della Corte Costituzionale- chiamata in causa dal Quirinale, come si è detto- che nella sua decisione,e non poteva essere altrimenti, c’è una parte soccombente. In questo caso soccombono i magistrati siciliani. Quella registrazione non doveva finire negli atti d’indagine. Bisognava chiederne subito la distruzione ad un gip. Immancabilmente il verdetto spacca gli italiani interessati. E si esagera. Con le manifestazioni a sostegno della procura isolana. Con le esternazioni parapolitiche di personaggi di spicco e stimatissimi ma ancora indossanti la toga. Con le perfomance paratelevisive di chi ha da ribadire ( e ormai non ce n’è più bisogno) che lui sta dalla parte dei giudici, dei giudici inquirenti. Che suppliscono a partiti in confusione e politica morente. Stessi toni alti con le arringhe urlate e non richieste, con i rimandi sopra le righe che fanno tanto benne alla causa di chi imprigionerebbe almeno in senso figurato i magistrati e le loro azioni contro le illegalità. Specie se queste azioni sconfina dalla parti della politica e degli affari. Spesso affari di mafia e, nel caso in causa, affari di stato e di mafia.Due destini vanno ad intrecciarsi: difficile uscire dalla polemica; difficile che si avrà la verità,almeno una verità giudiziaria. Siamo il paese di Piazza Fontana, dell’Italicus, di Brescia, di Gladio, della P2 , di Ustica e del Mig libico: vien meglio diffidare che sperare.E non si può ( almeno così sembra) neppure chiedere al presidente della Repubblica di chiedere alla magistratura di scoprire le carte. Le sue carte, le carte di Giorgio Napolitano: rendere pubblico il contenuto delle telefonate ricevute da Nicolò Mancino che hanno, a torto o a ragione, alimentato la patologia di un paese sospettoso e dietrologo. Patologia endemica per i troppi misteri irrisolti. Non si può chiedere questo passo perché sarebbe un passo incostituzionale. Il presidente della Repubblica non può andare contro una prerogativa del presidente della Repubblica prevista dalla Costituzione.Dunque una verità sulla trattativa stato-mafia la si potrà avere soltanto dal dibattimento processuale. E se la verità che uscirà dall’aula non sarà quella che ci aspettiamo ricordiamoci che non sempre c’è coincidenza tra verità dei fatti e verità giudiziaria. Telefonato al Quirinale o non telefonate al Quirinale, conflitto di attribuzione o non conflitto di attribuzione. Ci piaccia o non ci piaccia la pronuncia della Corte Costituzionale.