<<48 small>>:i tempi lunghi di un giallo infinito
La giustizia italiana sembra periodicamente orientarsi verso i tempi lunghi quando al contrario c’è da stringere per pronunciare parole definitive sulle inchieste che hanno riguardato o riguardano i presunti misteri della morte di Francesco Narducci raccontati e analizzati nel libro di Alvaro Fiorucci <<48 small- il dottore di Perugia e il mostro di Firenze>> (Morlacchi Editore). Qui non si vuole e neppure si può dire che a suggestioni si aggiungono suggestioni. Si intende semplicemente parlare di alcune circostanze che con il passare del tempo ( i tempi lunghi, appunto) sono diventati dei dati di fatto. Sui quali è lecito riflettere. Quanto meno per avere un ragguaglio sul funzionamento dei meccanismi che portano a un giudizio che chiude storie e capitoli. Il primo dato di fatto è che formalmente le indagini sulle circostanze del decesso del gastroenterologo con tanti amici e contatti in Toscana cominciato con 17 anni di ritardo. Il 13 ottobre 1985, quando il presunto corpo del medico fu ripescato dalle acque del lago Trasimeno, infatti di indagini se ne fecero poche o punto. Niente autopsia, si stabilì lo stesso una morte per annegamento, si comunicò per telefono al sostituto di turno che tutto era chiaro: una disgrazia,una banale caduta in acqua fatale anche per un esperto nuotatore oppure la volontà suicida di un giovane in carriere che chissà per quale motivo decise di togliersi la vita alla vigilia di un importante convegno internazionale. Disgrazia dissero i familiari, purtroppo una disgrazia perché motivi per darsi la morte non ne aveva. Saranno gli anni 2000 quando l’autopsia troverà la frattura dell’osso ioide (per alcuni segno di strozzamento; per altri insignificante per ricostruire una dinamica omicidi are che neppure c’è stata) e tracce di meperidina così consistenti da far dire agli esperti che Francesco Narducci si drogava con quell’oppiaceo che viene usato come anestetico nelle sale operatorie e anche più semplicemente per fare le gastroscopie. Se aveva bisogno degli oppiacei, forse una qualche ragione per togliersi la vita potrebbe avercela avuta. Ma questo è un altro discorso. E in <<48 small-il dottore di Perugia e il mostro di Firenze>> di Alvaro Fiorucci anche questo discorso è ben analizzato. Restiamo comunque al punto: 17 anni prima che si faccia un’indagine seria anche se sospetti di varia natura cominciarono a diventare acufeni per più di un investigare, quanto meno nel 1987, appena due anni dopo. Ma tant’è. Un altro stop consistente si ha tra il 2006 e il 2008, due anni di impossibilità di investigare per il pubblico ministero perugino Giuliano Mignini e per l’investigatore siculo-toscano Michele Giuttari. Per una ragione semplicissima. E’ la Procura della Repubblica di Firenze che indaga sui delitti del Mostro che sequestra i fascicoli dell’inchiesta di Perugia sui presunti collegamenti tra la morte di Francesco Narducci e i duplici omicidi del Mostro di Firenze. I magistrati fiorentini avevano le loro ragioni: avevano messo sotto inchiesta Mignini e Giuttari perché a loro avviso nell’indagare avevano commesso dei reati. E il tempo si ferma. Si ferma per due anni. Due anni che potevano essere utilizzati per il lavoro investigativo arrivato alla fase finale. A sentire Michele Giuttari il tempo era già fermo perché non gli erano state le deleghe per indagare su un gruppo di insospettabili che secondo il poliziotto erano, al contrario,più che sospettabile. Tempi lunghi, come si diceva. Si potrebbero sommare poi i tempi lunghissimi, ma fisiologici, di un incidente probatorio con decine di testimoni in la con gli anni e forse, secondo il pm perugino, anche a rischio di perdere la memoria. Quindi quelli che hanno portato all’archiviazione dell’inchiesta sul presunto omicidio con il proscioglimento di tutti gli indagati. E quindi la doverosamente lunga udienza preliminare per la seconda inchiesta, quella sul presunto depistaggio che coinvolgendo una ventina di sodali ipotizza un’associazione a delinquere che avrebbe tramato per nascondere la verità sulla ragione di quella morte al lago. Il giudice decide: tutti prosciolti, l’impianto accusatorio è senza prove certe. Meglio , gli indizi, nascono male e finiscono peggio, si dissolvono nella mancanza di riscontri. Il gup Paolo Micheli concorda con il pm su un aspetto : quella della morte di Francesco Narducci e’ una vicenda complessa, forse la più’ complessa, la più’ dirompente e la più’ tormentata che la cronaca giudiziaria della sede perugina ricordi. Tornando ai tempi: la sentenza è del 20 aprile 2010,le motivazioni sono del 20 febbraio 2012. Due anni spiegabilissimi con il diritto,le procedure, la complessità del caso, ma comunque, quasi un’ironia della sorte, tempi ancora lunghi, tanto lunghi. E non andrà meglio per il ricorso che il pm Giuliano Mignini e Francesca Spagnoli con l’avvocato Francesco Crisi presenteranno avverso il proscioglimento generale deciso dal giudice dell’udienza preliminare. Succede infatti che la Suprema Corte di Cassazione fissa la discussione del ricorso al 22 novembre 2012: tempi ragionevoli. Ma la caratteristica dei tempi lunghi insegue e infatti ecco che c’è una modifica del calendario. Il presidente della Corte rinvia la discussione a nuovo ruolo. Ossia l’incarto perugino viene assegnato a una nuova Sezione, a giudici che dovranno studiarselo da capo. E l’udienza,15 gennaio 2013, deve essere ancora fissata. C’è da aspettare e non è un’attesa da poco . Dalla Cassazione, a questo punto, dipende se dopo 28 anni il caso del dottore di Perugia e del mostro di Firenze è definitivamente chiuso oppure con l’eventuale accoglimento del ricorso, si dovrà tornare all’udienza preliminare e riscrivere il finale.
Allan Fontevecchia