Andreotti,Pecorelli,Perugia: quando la giudiziaria cambiò pelle .
Perugia diventa uno snodo ( un nodo) nell’ingranaggio della macchina della giustizia italiana il pomeriggio del 17 dicembre 1993, quando da Roma arrivano fascicoli dell’inchiesta sull’omicidio di Mino Pecorelli un giornalista scomodo, depositario di molte confidenze, anche di stato.Arrivano a Perugia per legittima suspicione: dei pentiti acusano un potente magistrato della Capitale,Claudio Vitalone, parlamentare per la Democrazia Cristiana. I magistrati di Roma non possono indagare sui magistrati di Roma: un tir di carte viene inviato alla Procura della Repubblica di Perugia perchè vada avanti.I sostituti Fausto Cardella e Alessandro Cannevale vanno avanti e indagano. E indagano a fondo seguendo piste che promettono bene con tracciati dalle direzioni precise e non sfumabili nella nebbia. I pentiti Tommaso Buscetta (una dei capi dei capi della mafia siculo-americana) , Fabiola Moretti e Antonio Mancini (figure di un certo livello dell’agguerrita e torbida Banda della Magliana), una serie di altre evidenze investigative portano a Giulio Andreotti, Claudio Vitalone, Pippo Calò,Gaetano Badalamenti,Michelangelo La Barbera Barbera e Massimo Carminati. A ognuno un ruolo:mandanti esecutori, depistatori. Onerata società che mette le mani su certi affari di Stato e Maglina che sugli stessi affari probabilmente le mani gia la messe da tempo insieme per impedire rivelazioni che avrebbero danneggiato Giulio Andreotti e per far tacere per sempre Mino Pecorelli che anche spezzoni di apparati riservati dello Stato avevano ragioni, eventualmente incoffessabili, per silenziarlo una volta per tutte. Ed ecco che Perugia è uno degli epicenti delle indagini sui dei tanti buchi neri della storia italiana. Mino Pecorelli ,un giornalista ammazzato come un cane: perchè?Da chi? Da allora Perugia,la sede giudiziaria del capoluogo umbro,per venti di diversa e varia natura, continuerà a svolgere questeo ruolo (previsto dalla legge) a volte ingigantito dai media a volte realmente gigante o quanto meno di peso rilevantissimo per la tenuta del tessuto democratico italiano. Arriverà la tangentopoli due con il suo carico di mazzette e di corruzione ,gli ecletici finazieri Pacini Battaglia ed Enrico Nicoletti, giudici romani corrotti,la Federconsorzi depredata, il G8 di Guido Bertolaso,uno dei casi più recenti.Per una piccolaProcura spesso in carenza di uomini (non solo togati) e di mezzi (non solo fotocopiatrici) non sono passeggiate.Il processo a Giulio Andreotti segnò dunque uno spartiacque: tra la giudiziaria di cabotaggio locale e la giudiziaria dei grandi processi che accompagnato la fine della Prima Repubblica.Anche per Perugia, città di provincia.Città allora spettatrice. Ora molto meno spettatrice : anche lei fornisce materia per quelle che per consistenza e per comodità abbiamo chiamato grandi inchieste. Torniamo ad Andreotti e al suo processo nel supercarcere diCapanne ancora un cantiere senza detenuti.Per l’omicidio di Mino Pecorelli i piemme chiedono l’ergastolo. Inutilmente (senza prove): tutti gli indagati vengono assolti.
Il 17 novembre 2002 la corte d’assise d’appello condanna invece il senatore di lungo corso e il boss Badalamenti a 24 anni di carcere. E’ un fulmine a ciel sereno che si vede e non si vede. Per molti,meno che per la Procura Generale,è addirittura un abbaglio, un flash.La Suprema corte di Cassazione poi annulla la sentenza di condanna e stabilisce che Giulio Andreotti e don Tano Badalamenti sono totalmente estranei all’omicidio del giornalista.Intanto a quei faldoni- quasi a segnare il passaggio d’epoca di cui si è detto – si sono aggiunte altre storie opache sulle quali far luce. Storie opache e , come detto,non migranti da una procura all’altra.I tempi sono cambiati?