Meredith: un naufragio per troppa fretta e troppo laboratorio
Ci sono un’ora, una data e una frase che indicano il momento in cui l’inchiesta ha preso la rotta verso il punto di naufragio che raggiungerà quasi otto anni dopo. Sono le 13 del 6 novembre 2007 quando per i corridoi della Questura di Perugia sono in molti a ripetere come un mantra :” per noi il caso è risolto”. Caso chiuso per via di tre indiziati identificati rapidamente e in un tempo breve avviati al carcere dove i due più giovani resteranno per quattro anni. Un tempo troppo breve, secondo alcuni osservatori. Troppo breve perché se Patrick Lumumba, Amanda Knox e Raffele Sollecito fossero stati lasciati liberi ancora per qualche giorno intercettazioni telefoniche, pedinamenti, ricerca di testimoni avrebbero forse evitato conclusioni che alla fine si sono rilevate errate. Sicuramente si sarebbe evitato l’arresto di un innocente (Lumumba, preso solo per le accuse di Amanda) e si sarebbe ottenuta maggiore contezza del ruolo dei due giovani fidanzati ieri definitivamente assolti dalla Corte di Cassazione. Tanto il colpevole certo e condannato in maniera definiva Rudi Guede sarebbe stato comunque inchiodato al crimine dalla sue tracce lasciate nell’abitazione di via della Pergola fin dentro la camera di Meredith Kercher. Invece è stata ritenuta subito di buona tenuta e di concreta sostenibilità la ricostruzione ipotizzata nell’immediato che alla verifica finale è stata valutata come la grande madre di un errore giudiziario. Ricostruzione basata in quel momento prevalentemente sul comportamento dei due , di Amanda in particolare, invece che su quelle prove schiaccianti che in genere fanno di un caso un caso chiuso. Per questa ricostruzione si sono cercarti a posteriori gli indizi . Indizi cercati e verificati a distanza di settimane prima e poi trascorsi dei mesi. Per accertare la verità. Per una giustizia giusta, si badi bene. E anche questa ricerca a posteriori, fatta con grande dispendio di energie ,professionalità e abnegazione, si è collocata in un’area investigativa ad alto rischio. Ad alto rischio perché un buon ottanta per cento degli elementi d’accusa si è ritenuto di averli trovate nella prova scientifica. Mancando la pistola fumante e una mano che la impugnasse gli investigatori con il camice bianco hanno fatto il grosso del lavoro e hanno trovato cose che hanno convinto i giudici di vari gradi giudizio ( e anche questo è argomento su cui riflettere, magari a parte) fino alla cassazione-Uno. Per poi essere completamente messi nel cestino dalla Cassazione-Due. Ecco, forse se acconto al lavoro scientifico ci fosse stata la possibilità di affiancare più tempo per un più corposo lavoro di indagine tradizionale , intercettazioni,pedinamenti, ricerca di informazioni, come si diceva, la macchina della giustizia avrebbe avuto un’alimentazione più completa. Punti di vista diversi. Magari acquisendo anche convinzioni utili per fermarla ad un certo punto. Prima del naufragio.La tempistica iniziale (c’era una forte pressione dell’opinione pubblica), la possibilità di far forza più sul laboratorio che sulla strada, ha portato prima alla sorprendente alternanza di condanne e assoluzioni nelle Corti d’Assise, Poi all’alternanza- probabilmente anche più inusuale- di opinioni tra Corti di Cassazione. Certo è un dato che sorprende. Ma è questo quello che ci dà un sistema giudiziario iperlento, iperformale, iperburocratico, ma in fondo grandemente garantista. Con l’alternanza delle sentenze è arrivato anche il contrasto tra due sentenze definitive. La sentenza che ha condannato a 16 anni Rudi Guede lo vede in concorso con altre persone. Si è ritenuto di vedere in quel “ con altri” Amanda e Raffaele. Fino a ieri alle 22,30, quando con la sentenza definitiva della Cassazione Amanda e Raffaele sono stati assolti e per sempre scagionati. E allora il cestista ivoriano insieme a chi era? Forse nelle motivazioni della sentenza della Cassazione-Due c’è una risposta anche per questo interrogativo che almeno sulla carta, a questo punto pare pertinente. Bisogna aspettare un paio di mesi. Intanto c’è Perugia. Nel senso della città di Perugia. Il delitto di via della Pergola- almeno fino a ieri è stato interpretato da più parti- come figlio della città. Dello spaccio della droga di cui sarebbe capitale, del sesso che è sfrenato per il fuorisede, delle indulgenze universitarie accordate ai giovani , del delinquere dei clandestini troppo bene accolti. La Cassazione ha cancellato anche questo assunto che ha ripetutamente ferito gravemente l’immagine di un intero corpo sociale. Due dei protagonisti che hanno parlato di droga (due tiri di spinello si badi bene) non c’entrano con l’assassinio di Meredith. E se l’omicida era solo a che orgia può’ aver partecipato mentre uccideva? Dunque un terribile delitto, ma meno complesso, più da analisi criminologica che sociologica, di quello che si è voluto raccontare. Questo non ne diminuisce la gravità ,ovviamente. Non attenua il dolore e il ricordo delle persone. Cambia la prospettiva dal quale guardarlo. A volte è utile anche questo. Droga, sesso, una città alla deriva: anche se fosse, Perugia che i suoi problemi non ha mai negato di averceli , non ha partorito il mostro di via della Pergola.
Sulla dinamica delle indagini, purtroppo , Alvaro, hai perfettsmente ragione. Ma di chi è la ” colpa di tutto ciò ? Dei nostri inquirenti, della Magistratura o del fatto che siamo un paese debole e succube , specie verso certe superpotenze ? Non vorrei essere nei panni dei genitori della povera Meredith.