-IL DIVO E IL GIORNALISTA- le prefazioni dei piemme Cardella e Cannevale
“Mi auguro che almeno per il quarantennale del suo assassinio che cade il 20 marzo 2019, Mino venga ricordato per quello che è stato: un giornalista scomodo ammazzato per le notizie scomode che aveva da fonti certe e che pubblicava senza riguardo alcuno se non per la verità. Eppure, il suo nome non compare mai tra i nomi dei giornalisti uccisi per il loro lavoro”. E’ quanto chiede Fulvio Pecorelli, cugino di Carmine Pecorelli vittima di un agguato avvenuto a Roma il 20 marzo 1979 . Il processo per questo delitto,un caso irrisolto, si svolse a Perugia negli anni ’90 e viene ricostruito nel libro “Il Divo e il Giornalista – Giulio Andreotti e l’omicidio di Carmine Pecorelli,frammenti fi un processo dimenticato “, di Alvaro Fiorucci e Raffaele Guadagno. Sul banco degli imputati, il sette volte presidente del consiglio dei ministri, l’ex magistrato Claudio Vitalone,i boss di Cosa Nostra Gaetano Badalamenti e Giuseppe Calò,accusati di essere i mandanti e il mafioso Angelo la Barbera e l’ex Nar della banda della Magliana Massimo Carminati accusati di essere gli esecutori materiali. La sentenza definitiva è l’assoluzione con formula piena per tutti. Tutti estranei all’omicidio. Il processo di Perugia però ha aperto uno squarcio sugli anni più bui,misteriosi e insanguinati attraversati dal nostro paese. Il libro di Fiorucci e Guadagno si apre con le prefazioni di Fausto Cardella, procuratore generale della repubblica di Perugia e Alessandro Cannevale, Procuratore della repubblica a Spoleto, che all’epoca sostennero la pubblica accusa. Di seguito alcuni estratti.
UNA STORIA INCOMPIUTA
di Fausto Cardella
A cadavere ancora caldo, appena giungono sul posto gli inquirenti avvertiti da un giovane carabiniere di passaggio, che usa il gettone telefonico di cui, a quell’epoca, i carabinieri dovevano essere obbligatoriamente dotati, si capisce che il caso è difficile, troppi essendo i soggetti, i centri di potere, di affari e di affarismi che il giornalista aveva infastidito. Negli ultimi tempi, addirittura, si era dedicato con insistenza all’affaire Moro, il dramma che aveva sconvolto la vita politica del Paese, fonte inesauribile di sospetti, allusioni, dietrologie.
Però, bisogna riconoscere che la lettura della collezione di “OP” nel periodo marzo 1978 / marzo 1979 rafforza il convincimento che Carmine PECORELLI, grazie ai suoi collegamenti con apparati dei servizi di sicurezza, alla conoscenza e frequentazione con alti funzionari dello Stato (molti dei quali affiliati alla loggia massonica di Licio GELLI), utilizzasse le colonne del suo settimanale per lanciare ambigui messaggi, lasciando intendere di essere a conoscenza di inquietanti retroscena o accreditandosi dinanzi ai lettori – forse a qualcuno in particolare – quale depositario di “riservatissime” informazioni.
Sta di fatto che “OP” è stato l’unico organo di stampa a pubblicare, nella fase del sequestro, alcune lettere di Moro ai propri familiari, lettere che erano state personalmente consegnate da un funzionario della Presidenza del Consiglio alla moglie dello statista.
Grazie alle sue indiscusse “entrature” negli ambienti del Viminale e della Questura di Roma, Carmine PECORELLI era dunque riuscito a procurarsi copia di quel carteggio epistolare. Dunque, è lì, nel sequestro e nell’omicidio dell’uomo politico tra i più importanti del Paese, il movente del delitto Pecorelli?
L’ECLISSI
di Alessandro Cannevale
Nel ‘99, fuori dall’aula del processo, i vetri non li avevo. Così non mi azzardai a guardare il cielo, anche se era nuvolo, e più che lo spettacolo della natura contemplai lo spettacolo degli uomini, miei simili, persi nei loro volatili pensieri, accomunati da quell’esperienza di umili ammiratori del cosmo.
In quella maestà, in quel silenzio un po’ annoiato ma rispettoso, simile ai momenti di silenzio della messa cattolica – la riflessione sui propri peccati e, più tardi, la santa comunione – in quella intensa fratellanza fra mortali protesi verso i corpi celesti, mi sentii piccolo e vergognoso. L’eclissi era ancora in corso, un blando e intempestivo tramonto arrecava un lieve fastidio ai bioritmi di uomini e animali ma l’eclissi era finita, il sole era rimasto sempre al suo posto, tutto era già compiuto prima di compiersi: il ritorno della luce, la riconciliazione, la rassicurazione di un popolo sconcertato. Solo a distanza di molti anni si sarebbero riaffacciati la polemica, l’acido sarcasmo, l’insinuazione velenosa e perfino l’accusa franca, ma nei luoghi a loro più congeniali: sugli schermi cinematografici e televisivi, in catartiche e coraggiose opere di finzione, e ancora in qualche vignetta allusiva, graffiante, carica di civile indignazione.
Tutto questo pensavo o penso oggi, non ricevevo alcun messaggio dalle stelle. Del resto, come ho detto, non rivolgevo lo sguardo verso di loro. Né loro guardavano me, questo è poco ma sicuro. Perché, contrariamente a quanto ha scritto un tizio che cercava un bel titolo per il suo romanzo, le stelle non stanno a guardare, non hanno motivo di farlo: sanno già tutto e nulla le interessa.