Navigare tra le fake news senza affogare
di Tecla Bolognini
Il proliferare incontrollato di notizie e di produttori di contenuti, regola in un mondo interconnesso diventato ormai “villaggio globale”, non sempre è sinonimo di qualità ed affidabilità. Attraverso smartphone e nuovi social ognuno può produrre, ma anche essere fruitore, selezionatore e divulgatore di informazioni altrui. Il web ha rivoluzionato le relazioni umane e la comunicazione. Anche la libertà di espressione, costituzionalmente tutelata, si espande e muta di prospettiva.
Si è svolta sabato 25 gennaio, presso Umbrò Cafe, in via Sant’Ercolano a Perugia, l’iniziativa “Navigare tra le fake news senza affogare”, organizzata dall’associazione culturale “Humus Sapiens”. Tra i relatori presenti: il direttore di Umbria24, Ivano Porfiri; il caporedattore di Perugia Today, Nicola Bossi; l’esperta di comunicazione internet, Sonia Montegiove. A coordinare l’incontro, il giornalista Luca Fiorucci.Coloro che accedono alla rete, non sono tenuti a regole deontologiche, possono generare contenuti e non sempre hanno consapevolezza dei nuovi media, condividendo e contribuendo alla diffusione talvolta delle fake. Si può subire il condizionamento di esagerazioni e faziosità. Molte fake news spesso sono prodotte al fine di danneggiare la reputazione di persone, prodotti ed aziende, veicolare la pubblica opinione e questo crea danni economici. Notizie false generano danni reali. Le fake news sono sempre esistite, ma con il web hanno registrato una diffusione, anche spaziale, accelerata e capillare. Prima infatti le notizie venivano prodotte, in massima parte, da professionisti ed il fenomeno delle fake era gestibile.“La prima falsa notizia della storia riguarderebbe la morte di Napoleone nel 1814 e un’altra invece, più recente, causa addirittura di una guerra, è quella detta da Colin Powell, segretario di Stato Usa, in un intervento al consiglio sicurezza Onu, che mostrò una fiala di antrace. – evidenzia il presidente di Humus Sapiens, Antonio Rocchini – Questo favorì la guerra contro Saddam Hussein nel 2003. Dopo il conflitto, ispezioni Onu dimostrarono che non risultava il possesso di armi chimiche”.Fake news che possono provocare gravi conseguenze quindi, tanto che se ne chiede l’individuazione ed il blocco della diffusione, si invocano maggiori risorse, il coinvolgimento massivo dei giganti digitali, del mondo produttivo, dei livelli politico-istituzionali di vari paesi, di giornalismo, magistratura e polizie postali, chiedendo anche adeguamenti normativi.“Gli utenti devono abituarsi a riconoscere ciò che è palesemente falso, vero o verosimile, recuperando il senso critico in ciò che leggono e cercando di essere più autonomi rispetto ad alcuni meccanismi del web, come la profilazione e le post verità. Si deve comprendere il funzionamento dei nuovi media e le logiche, anche di guadagno, sottese. – spiega Sonia Montegiove – La tecnologia è neutra ma i suoi meccanismi no. Un soggetto terzo non è detto che sia poi effettivamente obbiettivo nel definire le notizie vere da quelle false. Bisogna poi sensibilizzare anche i giovani ad un uso più corretto del web, usato ora solo per comunicare tra loro, e poco a livello di ricerca sui motori più conosciuti. – conclude la Montegiove- Le fake possono essere fermate con la cultura, le conoscenze, informatiche e non, l’esperienza e la pazienza”.La rivoluzione digitale muta anche il rapporto tra il giornalista e fonti. Il giornalista non è più il necessario valore aggiunto? Denunciare in modo tempestivo le fake è un obbligo etico-dentologico, altrimenti il giornalista finirebbe per bruciare la sua credibilità, quella della testata per cui lavora e della categoria professionale. Deve conservare competenza ed onestà verso il lettore, ricordando il pubblico interesse e la dimensione sociale del diritto di cronaca.“La verifica delle fonti, prima di diffondere una notizia, dovrebbe essere fatta dal cittadino come dal professionista dell’informazione, anche se nel secondo caso ci sono maggiori capacità di farlo, ovviamente. Tutti devono avere senso civico ad abituarsi a questo esercizio, al bar, come nel web, quando si apprende una notizia, verificarne attendibilità”. – puntualizza Porfiri – Le basi del lavoro giornalistico sono sempre verità, pertinenza e continenza. Ci sono anche notizie che in modo fraudolento, comunque, vogliono orientare il sentire collettivo, tanto che ci sono inchieste sulla manipolazione del consenso, come nel caso dell’elezione di Trump o del referendum sulla Brexit. Dobbiamo poi calarci comunque nel mondo del fruitore web, alcuni, come nella vita, meditano poco i propri gesti quando fanno condivisioni, spesso lo fanno distrattamente, dopo una giornata pesante di lavoro. Le notizie comunque possono avere ricadute sul privato delle persone e sulle dinamiche sociali e tutti sono responsabili di ciò che scrivono e condividono, e del linguaggio usato. – continua Porfiri-Tutti possono sbagliare, anche i giornalisti, ma si spiegano e riconoscono gli errori. Penso che l’informazione non debba essere soggetta a censure o autorizzazioni di nessuno. Non credo molto purtroppo nel debunking, per combattere le bufale, è provato da vari studi, sembra che le persone non abbiano molta fiducia e considerino questa pratica faziosa ed interessata. Occorrerebbe anche più giornalismo di inchiesta ma il problema spesso è il budget, il tempo ed la reale disponibilità di un editore”. Libertà di espressione, di fruire di informazioni, il web è ormai irrinunciabile, in una dimensione a-temporale, dalle infinite possibilità di relazione e interscambio.“Più che giornali liberi, dove bisogna rispettare una linea editoriale, esistono giornalisti liberi. Il web incrementa la circolazione delle fake, ma più persone possono informarsi a basso costo. Bisogna difendere la pluralità dell’informazione. Il cittadino è più informato, tra tv, carta stampata, social e testate on-line. Si può piano piano così imparare anche a riconoscere le fake. Tra il serio ed il faceto, ad esempio, il libro “Asino caro”, di Roberto Finzi, è la dimostrazione di una falsa notizia sorprendente. – evidenzia Nicola Bossi – L’asino è collegato alla nascita di Gesù ed era considerato nell’antichità un animale sacro, sinonimo di prosperità e bellezza, invece poi ha assunto un significato negativo, poca intelligenza e svogliatezza. Anche in Pinocchio, di Collodi, chi non studia è asino. Orwell, nella “fattoria degli animali”, lo rivaluta come animale rivoluzionario che conosce fatica, disprezzo, le difficoltà e ha tenacia. -conclude Bossi-Oggi viene dato l’appellativo di asino, da parte delle elites dominanti, anche al popolo, quando non piace come esprime il suo consenso. Oggi alcuni vorrebbero forse togliere anche il suffragio universale”. Il giornalista non deve farsi troppo condizionare dalle regole del business e del fare pezzi per “aumentare il traffico sul sito”, sposando la logica dell’”acchiappare” click o follower” ma difendere eccezionalità della sua esperienza, come fecero scrittori e artisti a inizio ‘900, nella massificazione sociale. La qualità è la cosa più importate.“ Per combattere i profili fake chiedere un documento di identità, al momento in cui ci si iscrive, non è la soluzione. – conclude Sonia Montegiove – La serietà e l’approfondimento pagano in termini economici e di accesso ai siti. Ho letto di un giornale che fa pezzi di approfondimento e inchiesta, diminuendo il numero dei pezzi, ma aumentando numero dei giornalisti assunti. Purtroppo troppi giovani giornalisti, e non solo, vedono pagato poco il loro lavoro. Non amo poi molto la pratica, di taluni telegiornali delle ore di punta, che riportano, meccanicamente e fedelmente, i twit dei politici, invece dovrebbero aiutare il pubblico a capire e farsi delle opinioni, e si dovrebbe riconoscere il lavoro di approfondimento”.