Perché un detenuto potrebbe insegnarci qualcosa in questo tempo di attesa?
Lo scritto che segue è il testo di una racconto dove si intrecciano parole e immagini ( https://www.youtube.com/watch?v=lGFOjNVkqOY) realizzato da Federica e Simona Sclippa che prende spunto dalla vicenda umana di Giambattista Scarfone, un ex detenuto che scontata la pena dopo oltre venti anni di detenzione , uscito dalla cella si è subito ritrovato di nuovo segregato. Questa volta per le misure contro la diffusione del corona virus. Paradossi della vita ? Occasione per riflettere sul concetto di libertà e sul senso delle nostre esistenze? Federica e Simona Sclippa ha trovato il giusto modo per cercare una risposta.
SIMONA SCLIPPA
Faccio entrare la luce, metto le tende agli angoli della finestra della mia camera e osservo il campo lussureggiante che ho di fronte: sembra un dipinto nella sua perfezione, un quadro costantemente aggiornato nei colori delle sue stagioni, ciclici e sempre in cambiamento.
È sbocciata la primavera FUORI e DENTRO c’è il timore misto a speranza, la riscoperta dell’aritmetica delle piccole cose alternata alla tensione degli ultimi bollettini.
C’è un tempo nuovo, un tempo lento.
Mai come ora o forse più di prima, non siamo in sincronia con la Natura che sembra ci abbia messo alla finestra, sì ma proprio dietro al vetro, a farsi guardare rigogliosa e indifferente come lo siamo stati azzardatamente noi, troppo, nei suoi confronti.
L’acqua è cristallina a Venezia, i fiori sono gemmati, le lepri hanno inondato i parchi a Milano e quel fazzoletto di terra davanti a me, largo ed esteso, lasciato ora a maggese, si lascia dondolare dal vento che soffia soavemente sopra quel velluto di erba.
L’osservo come spesso ho fatto, ma oggi con un’altra intensità, con un groviglio di emozioni che non riesco a districare: sono lì senza nome, complesse e vischiose e trovano supporto solo se sollecitate una dall’altra, sono lì a ricordarmi che l’equilibrio è possibile solo senza assoluti, solo se si rimane nell’armonia degli opposti.
Ma l’equilibrio umano è più instabile di qualsiasi altro organismo vivente, perché poggia su un piedistallo incerto dove anche piccole variazioni emotive possono condizionare la traiettoria del nostro percorso di vita arrivando, spesso, anche a risposte più o meno affrettate intorno a noi e dentro di noi.
Sedotti dal tempo segmentato e cadenzato dal leitmotiv dell’efficienza e della produttività, dettato ovunque, anche in vacanza, perché quel ritmo ha continuato a battere incessante come se fosse inscritto dentro di noi.
Siamo diventati così: sempre più amanti delle spunte blu che dell’immaginazione, della risposta veloce che soddisfa più le necessità che i desideri perché nel suo statuto etimologico il desiderio deve ASPETTARE.
E in un giorno poco definito nella cronologia della nostra memoria famelica, quel virus submicroscopico ha fatto irruzione senza permesso e ci ha fatto vacillare senza distinzione di cartelli confinanti, di gerarchie lavorative, di forme, di pesi e ha piegato i nostri parametri, livellandoci almeno nell’immediato: non uscire, non poter viaggiare, non poter comprare se non l’essenziale.
Ci ha costretti ad assumere una POSTURA DI ASCOLTO senza la pretesa, questa volta, di ricevere risposte veloci perché stiamo imparando, forse, a capire che non sono mai esistite e che non esistono né a livello personale né a livello scientifico né negli eventi storici.
Siamo sospesi, in epochè e non ne eravamo più abituati.
Dobbiamo RESTARE, senza troppe metafore, dentro i metri quadri delle nostre abitazioni ed ora che li stiamo scoprendo stretti o forse troppo grandi, iniziamo ad abitare anche quelli interni, quelli che non avevamo “mai tempo” di comprendere.
Abbiamo cominciato ad amalgare gli ingredienti culinari perché ci hanno fatto sentire subito di nuovo squadra, ma poi stiamo avvertendo anche la necessità di impastare altro, gli ingredienti più intimi: quell’amore a metà, quella convivenza che è diventata adorabile o magari insopportabile, quell’amicizia fortificata o a singhiozzo, una routine che ha preso uno slancio creativo, i giochi improvvisati e l’odore dei figli.
E allora ho scritto e ho chiesto a chi è stato 30 anni dentro quel desiderio di uscita prima compulsiva e poi, aspettata cosa fosse l’ATTESA?!. Perché un detenuto potrebbe insegnarci qualcosa, ora? Sì, anche a noi che non abbiamo il colore di quella fedina penale, eppure ci siamo ritrovati ad esserlo improvvisamente, detenuti, o forse lo eravamo già, ma erano altre le grate.
“Da ex detenuto quale sono, non ho la pretesa di ergermi a grande saggio, ma è innegabile che anni di esperienza sul campo mi abbiano insegnato a vivere in spazi assolutamente piccoli e privi di ogni confort.
Non a caso l’ intervallo di clausura che stiamo vivendo in questa particolare fase a cui il coronavirus ci ha obbligati, dia fastidio a chi non è abituato a stare in casa e, pur sapendo, si muove da una stanza all’altra in cerca di qualcosa che non può trovare.
Io non mi sono accorto degli obblighi a cui tutti siamo sottoposti, poiché 30 anni di carcere mi hanno insegnato ad occupare bene il tempo, a sfruttare gli spazi per una qualunque attività fisica, ad andare a letto presto, a vivere senza telefonino, a pranzare e cenare alla stessa ora, a riflettere sull’errore e dimostrare di averlo capito.
Può sembrare un paradosso, ma le mie giornate da recluso erano incredibilmente corte. Troppi impegni (culturali che altri) occupavano il mio tempo ad un ritmo serrato. Ora che sono libero faccio le stesse cose che facevo da recluso: leggo e scrivo.
Uno dei motivi per cui un ex detenuto potrebbe dare un buon consiglio è quello di avere capito che LA LIBERTÀ È UNO STATO INTERIORE più che fisico, ma più che altro ho imparato l’importanza del sacrificio, quindi accetto anche il peggio perché sono consapevole che c’è sempre il sole sopra le nuvole.”
Giambattista ha scritto 37 libri in tre decadi e ha scoperto il suo “daimon”, quel demone pungolatore che ci sveglia dai diversi autoinganni di nostra fattura e tra quelli ci sono in assoluto il bluff del controllo e dell’onnipotenza umana.
Ma chissà per quale dannata amnesia storica abbiamo bisogno di TRAUMI PER FERMARCI collettivamente? Perchè abbiamo bisogno di pesti per poter continuare a dare valore al respiro? Perché abbiamo bisogno di costrizione per comprendere che la Libertà è anche DOVERE? Che la Libertà è anche CONSAPEVOLE OBBEDIENZA? Che è connaturata alla RESPONSABILITÀ?. Scopriamo sorprendentemente di essere meno monadi e più collegati uno all’altro, più solidali, più complici.
Eravamo (?) l’era del FARE, ERGO SONO che riconosce a fatica quell’adagio cartesiano.
Ci sarà un prima ed un dopo covid19 ed ognuno di noi avrà il modo di rielaborarlo.
Il tempo è nudo e si è dilatato, disancorati, spaesati anche, perché questa volta dovremo imbastire soprattutto delle RISPOSTE e dovranno ESSERE DIVERSE.
Perché se l’uomo custodisce quella straordinaria capacità di adattamento, allo stesso tempo, questa ultima, può diventare pericolosa: non riadattarsi dimenticando velocemente, ma REAGENDO SOLO PER MIGLIORARE e non certo e solo la nostra condizione, ma interagendo efficacemente con tutto l’ecosistema.
Saremo in grado di imparare? Di capire realmente la portata di tale inevitabile cambiamento? Perchè non basta più puntare allo scopo, se non ricreiamo la MODALITÀ con la quale deve essere raggiunto.
Abbiamo la più grande Sfida: L’ATTESA e L’ ARMONIA!
Simona Sclippa