Dopo 30 anni di carcere e 30 romanzi, l’isolamento contro il coronavirus e un consiglio:riappropriatevi di tutto quello che avete trascurato.
di Giambattista Scarfone
Umbria, 9 aprile 2020 -Negli ultimi giorni di carcerazione ho cercato di pensare a cosa sarei andato incontro una volta scarcerato. L’idea che il rumore delle chiavi, gli orari scanditi dal trillo di una campanella che segnalava il rientro nelle celle, gli intervalli obbligati per poter andare in cortile e tante altre privazioni fossero finite all’improvviso non mi sembrava vero. Eppure i tempi erano davvero ristretti e quell’improvviso che mi era parso immediato, per poterlo constatare mi è toccato attendere quasi trent’anni. Già, trent’anni trascorsi in uno spazio assolutamente piccolo e privo di ogni comfort. E, nonostante io mi senta un uomo che è stato giuridicamente fucilato, poco conta se da innocente o colpevole perché quando la condanna è definitiva sei colpevole anche se non hai commesso il reato per cui sei stato condannato. Quindi in carcere è meglio essere colpevoli. Una lunga carcerazione tuttavia comporta una serie di problematiche sotto l’aspetto umano, familiare e sociale. Molti detenuti infatti perdono la ragione, la famiglia si spegne dietro la speranza di un recupero e la società ignora che la solidarietà tra detenuti è ciò che regge l’istituzione. In carcere ciò che affligge è la noia, quindi è necessario occupare il tempo in modo costruttivo. Il guaio è che non hai nulla e devi inventarti un metodo che ti aiuti a sopravvivere senza intaccare gli spazi altrui. Per non impazzire mi sono messo a scrivere e, con mia grande sorpresa, durante la carcerazione ho scritto trentanove libri. Devo dire che la scrittura è stata terapeutica poiché mi ha dato l’opportunità di contattare delle case editrici, fare dei confronti tra il prima e il dopo e constatare il disagio in cui brancolavo con la convinzione che invece vivevo. Ciononostante l’attesa scarcerazione mi esponeva ad una realtà sicuramente diversa da quella che avevo lasciato ma che non avrei potuto evitare. Era un pensiero costante e, quando giunse il momento, nonostante la presenza dei congiunti, il primo disagio lo constatai avvertendo gli odori degli scarichi dei motori delle auto. Poi i rumori delle stesse, la caoticità per la strada e infine il mal d’auto, realtà mai sofferta in precedenza. Devo dire che i primi giorni sono stati terrificanti poiché i disagi citati hanno aggravato l’intero contesto, che mi ha costretto a viaggiare per delle visite obbligate a persone speciali. In quell’intervallo ho notato le varie cittadinanze dei paesi che ho visitato letteralmente rapite dai telefonini. Una novità assoluta a cui non ero preparato sebbene mi sia chiesto quale vantaggio si abbia rimanendo incollati davanti ad uno schermo minuscolo parlando di banalità. Il telefono esiste da 150 anni ma credo che nessuno abbia mai ipotizzato di trascorrere intere giornate reggendo tale arnese. L’imbarazzo più grande è stato scoprirlo in mano ai giovani, già penalizzati dal poco dialogo in famiglia per esigenze di lavoro dei genitori e quindi ulteriormente vittime di un progresso regressivo. Stavo recuperando sotto l’aspetto fisico quando è comparso in scena il Coronavirus. Le prime notizie giunsero dalla Cina ma ci è sembrata così lontana e altrettanto surreali le misure di prevenzione intraprese che credo nessuno, almeno all’inizio, avrebbe ipotizzato che un microrganismo mettesse in ginocchio prima l’Asia, poi l’Europa e poi il mondo. Il contagio è stato così rapido che i morti si sono susseguiti con incredibile frequenza, a migliaia ogni giorno. L’unico modo per fermare la diffusione è l’isolamento, quindi evitare i contatti con le persone e stare rinchiusi in casa è l’unica alternativa. In pratica sono uscito in un buco per finire in un altro. Riconosco che la lunga carcerazione mi ha consentito di non risentire del trauma attuale poiché fin troppo abituato a stare in spazi ristretti. Anzi, se posso permettermi di dare un consiglio, approfittate per riappropriarvi di ogni angolo delle vostre case poiché tutto ciò che guardiamo e non riusciamo a vedere non ci appartiene, mentre invece dovrebbe. Discorso valido anche sugli stati d’animo dei congiunti che per il troppo lavoro non vedevate che di sfuggita. Recuperate i rapporti osservandoli con occhi diversi. E’ l’occasione per riflettere su tutto ciò che prima avevate trascurato o sottovalutato e capire se ne sia valsa la pena. Io sono ancora senza telefonino, leggo e scrivo, mantengo un regime alimentare sobrio e cerco di stare bene con me stesso perché è innegabile che raggiunto quel livello di serenità che ci consente di vivere in letizia con noi stessi, siamo pronti ad offrirci agli altri e, anche solo con le parole, trasformare in commedia perfino una tragedia. Auguri a tutti.
Giambattista Scarfone