Un fucile da sub, un suicidio impossibile e tanti interrogativi
La sua vita è finita in uno sbuffo di aria compressa. Attraverso l’occhio destro l’arpione sparato dal fucile da sub ha raggiunto il cervello e l’ha spento . La morte è arrivata veloce . Il ragazzo non ha sofferto. Questa è l’unica certezza. Il pendolo delle ipotesi invece oscilla intorno a un dubbio : omicidio o suicidio? È successo tanti anni fa e il pendolo, nonostante la giustizia sia arrivata all’ultima stazione , non si è ancora fermato. Sono le 2, forse le 3, del 13 febbraio 1995. Mario Impastato, 25 anni, pasticcere di Civitavecchia, è un cadavere raggomitolato sul suo sangue in una stretta area di sosta del raccordo Terni-Orte. Storia triste, brutta storia: si è ammazzato, la scena che hanno davanti non offre alternative agli investigatori della Polizia. Devastati dal dolore i genitori invece sono convinti che è proprio la ricerca di una qualsiasi alternativa la strada da battere perché suicidio non è. Perché ? Perché, per loro, il figlio non aveva ragione di farla finita. E spiegano: con la fidanzata relazione tranquilla , neanche uno screzio. Figuriamoci, sono stati a farsi gli scherzi fino alle 20,30 di quel giorno bastardo. Buoni i rapporti con i famigliari che ha salutato alle 23 quando è uscito per raggiungere la discoteca di Civita Castellana. Il punto di ritrovo con gli amici di sempre. Conti correnti a posto con i bilanci dell’ attività degli Impastato che cresce costante un anno dopo l’altro. Dunque, perché uccidersi? Perché poi in quel modo, inginocchiandosi ? Non ce n’era bisogno . Non doveva per forza assumere quella posizione per colpirsi con un fucile della Tecnisub modello Conquist Booster piantato nella terra . Non si è inginocchiato, l’hanno fatto inginocchiare. Questa è stata un’esecuzione, dice l’avvocato Sandro Lungarini. L’autopsia conferma, al contrario, l’opinione iniziale degli inquirenti: è stato un suicidio. Però i conti non tornano. Dopo un po’ di tempo infatti un fatto nuovo torna a smuovere le acque. È il ritrovamento di una maglietta insanguinata lontano dal cadavere. Non c’è una spiegazione su come sia volta via . C’è poi tutto un armamentario da sub , ma Mario Impastato la passione per quella pratica sportiva non l’ha mai avuta. Non ha mai posseduto un fucile per quel tipo di pesca. Nessun negozio specializzato- tra i possibili individuati nella mappa degli investigatori- gli ha venduto quell’arma. E non si trova chi possa, nel caso, averglielo prestato. È un mistero con tanti buchi neri. Per illuminarli vengono diramati inviti pubblici a collaborare a segnale ogni dubbio ogni eventuale sospetto. C’è attesa. Finisce anche il tempo dell’attesa. Il pubblico ministero Carlo Maria Zampi in mancanza di indizi non può che chiudere il fascicolo e scriverci sopra “suicidio”. Qualche tempo dopo un’ altra t-shirt macchiata di sangue sembra riaprire il caso. La trovano in un cassonetto della zona. Ma è due taglie più grandi e le tracce ematiche non sono sufficienti per la comparazione del Dna. Non è una nuova pista. Quel ragazzo, senza una spiegazione plausibile, ha scelto Terni per farla finita. Questo dice l’archiviazione firmata dal gip Claudia Matteini il 4 luglio 1995. Ma il pendolo della verità per tanti continua ad oscillare nel dubbio.