Umbria anni’90: sulle tracce della Sacra Corona Unita
Un pentito che gira con la Ferrari, un latitante che diventa collaboratore , un carabiniere che si finge complice per farne arrestare un buon numero. Sul finire degli anni Settanta un paio di operazioni della Dia raccontano che dopo la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta anche la criminalità salentina punta sull’Umbria per avere un buon rifugio e, all’occasione, un territorio da coltivare. Del resto, la Sacra Corona Unita è considerata anagraficamente figlia delle organizzazioni napoletane e calabresi. Che crescendo ha molto imparato anche da quella siciliana. Alle 5 del 10 novembre 1996 un trentenne che traffica droga e sigarette dal Montenegro, in ascesa nella gerarchia dei boss, è a Perugia. Sta per entrare nell’abitazione di un suo vecchio sodale ora diventato collaboratore di giustizia e stabilmente residente nel capoluogo umbro. Il pentito si chiama Salvatore Tagliente e se la passa bene: ha la Ferrari e un corposo conto in banca. Le sue dichiarazioni nel 1994 avevano fatto arrestare un buon numero di esponenti delle cosche brindisine. Chi sta per fargli visita è Benedetto Stano, un capo riconosciuto e temuto, latitante da un paio di anni, da quando cioè era sfuggito alle retate favorite proprio dall’amico che stava per incontrare. Lo accusano di due omicidi e di un attentato con la dinamite che aveva per bersaglio un dirigente della questura di Brindisi. Quindici giorni prima era a Roma e per un niente quelli della Criminalpol non sono riusciti a fermarlo. È sulla porta quando gli mettono le manette. Stupito, è fermo per scrutare nel buio: s’è sentito chiamare “occhi di gatto” il soprannome che pochi conoscono. Erano i carabinieri. Benedetto Stano aveva rotto con la Sacra Corona Unita per formare un suo clan. Più avanti le cronache racconteranno, tra smentite e conferme, che anche lui ha optato per la collaborazione con la giustizia. Con l’operazione perugina gli inquirenti arrestarono in tutto cinque persone, sequestrarono 350 milioni e la Ferrari di Salvatore Tagliente. Se la vicenda di Benedetto Stano ha mostrato uno spaccato della mafia brindisina, un traffico di droga con l’Umbria tra gli scali principali, ha fatto luce sulla Sacra Corona Unita di Bari e Foggia in affari con i narcos colombiani. Un business milionario tenuto insieme da un filo rosso che arrivava a Medellin per tornare indietro e attraversare Marche, Umbria ,Toscana e Lazio, raggiungere di nuovo la Puglia da dove ripartiva per l’ultima stazione dello spaccio. Generando lungo il suo cammino profitti milionari. Un capo di quel filo rosso è stato afferrato dai carabinieri in un albergo alla periferia di Perugia dove il gruppo criminale aveva allestito una sorta di centro di smistamento e un nascondiglio per i latitanti che non si erano fermati di Colombia e non erano emigrati in Spagna come avevano fatto in molti. È il 10 aprile 1997. Scoperta la base- grazie all’abilità di un militare del Reparto Operativo Speciale che si era infiltrato nel clan in maniera così convincente da raggiungere un ruolo di un certo livello- il pubblico ministero Fausto Cardella chiede e ottiene dal gip Giancarlo Massei trenta ordinanze di custodia cautelare in carcere. Trenta ordinanze destinate alle truppe dei clan Biancoli di Bari e Di Tommaso-Strafile di Cerignola che per gli inquirenti hanno interessi economici anche in Polonia e in Germania. Lungo il filo rosso della droga correvano anche esplosivi e armi da guerra. Provvedeva un cileno con un suo particolarissimo canale umanitario che dalla Bosnia portava in Italia mitragliatori Ak47 e tritolo.- (da Il Messaggero)-
Quante cazzate hai scritto in questo articolo. Te lo dico dopo 27 anni.