L’omicidio di Fatima che non voleva essere schiava
Fatima Abdelali ha 32 anni, viene dal Marocco e non crede che vestirsi e affrontare la vita alla maniera delle sue coetanee occidentali, sia una colpa o un peccato. Si sbaglia: c’è chi considera un certo abbigliamento piuttosto che un altro peggio che disdicevole, che vede nelle uscite con le amiche, e magari nelle brevi soste al bar, un affronto da punire a schiaffi e pugni, che avverte in quel minimo di libertà che lei reclama il tentativo di sottrarsi al suo potere di controllo che non può che essere totale. Premesse per un femminicidio. Infatti considerata un oggetto che sfugge di mano viene massacrata a coltellate il 23 gennaio 1999, un sabato pomeriggio. Le tv danno la notizia alle 19,30 ed è in prima pagina il giorno dopo su tutti i giornali. Accanto al cadavere della ragazza ce n’è un altro. È il corpo senza vita di una donna di 86 anni, Annunziata Pompili. L’assassino ha ucciso due volte in quel piccolo appartamento di via Tiberio ad Assisi . Il medico legale conta le ferite : venti hanno martoriato la più giovane, dieci l’anziana. Un uomo viene fermato dai carabinieri . Si chiama Salah Warrirh , è un muratore di 36 anni ed è il marito connazionale di Fatima. Che prima nega, poi ammette. Dice però di essere confuso e di non sapere perché l’ha fatto. Quindi ricorda meglio: Non volevo che finisse così, volevo solo spaventarle e farmi ridare le mie cose, una catena d’oro e altri oggetti ai quali tenevo. Lei si è messa a gridare, non ho capito più nulla, ho perso la testa ,ho usato il coltello. Il gip Giancarlo Massei lo manda in carcere dopo il fermo disposto dal pm Fausto Cardella. Gli inquirenti ricostruiscono una storia di gelosia, di troppo vino bevuto, della incapacità di comprendere che c’erano mille ragioni perché il suo matrimonio scivolasse verso il divorzio. Testimoni e sanno di liti e di botte frequenti e mettono tutto a verbale. Sanno anche che Fatima non ce la faceva più e che aveva chiesto il divorzio . Per mettersi al riparo da una situazione familiare sempre più insostenibile e pericolosa la giovane si era trasferita a casa di Annunziata Pompili che l’aveva ospitata perché aveva bisogno di qualcuno che l’accudisse. Salah Warrirh contro questo progetto di vita della sua donna si era infuriato più volte : se lo ricordano i vicini che lo descrivono alticcio spesso , irascibile e manesco sempre . Fatima era determinata e forse con la separazione e il cambio di abitazione si sentiva al sicuro. Ed è ipotizzabile che lo abbia fatto entrare perché, appunto, le pratiche per la rottura del matrimonio dovevano pur andare avanti. Il muratore però non è lì per sistemare le carte. È alla porta con un altro progetto. Ed è armato. Con una scusa si è fatto prestare da un suo conoscente un coltellaccio dalla lama larga e lo usa alla maniera di chi è deciso a superare il confine dell’intimidazione. Uccide anche la padrona di casa : un testimone troppo pericoloso per lui. Da eliminare. Ecco perché , ammazza due volte. Fugge, gli abiti sporchi di sangue li getta in un cassonetto della spazzatura. Sono le 15 e qualche minuto quando restituisce il coltello che si era fatto prestare che erano le 14. Un’altra ora i carabinieri sono alla sua porta e cominciano a far domande. Ce ne vogliono ancora un paio per il fermo. Un anno dopo, il 20 gennaio 2000, al processo di primo grado, la condanna è a trenta anni di carcere. Salah Warrirh rivolto ai giudici aveva detto per l’ultima volta: Volevo solo spaventarle, volevo la mia roba.