TGR rai: edizione a perdere, riforma dimenticata
Nominalmente ci dicono che ci sia da salvare un’edizione, la terza , del telegiornale regionale della Rai, testata giornalistica Tgr, Terza Rete, in onda intorno a mezzanotte. Poca cosa? Un pezzo di una cosa più grande? Quanto è importante questo frammento che viene a mancare? In realtà non è questo che sta provocando la protesta dei giornalisti del servizio pubblico e delle loro rappresentanze sindacali. In realtà non è per queste domande che si cercano risposte. O meglio: c’è questo e quello con qualcosa di più. Che però stenta ad esser detto e che fatica molto più ad esser compreso. Perché questo ultimo accidente della terza edizione, questo togliere una porzione di informazione locale,l’ultima della giornata, provocando di fatto un black-out di notizie regionali dalle 19,30 alle 7,40 del giorno dopo,è indice di una contingenza non buona. Una contingenza nella quale più soggetti collocano con il loro agire come con la loro inazione il lento tramonto delle idee forti che nel 1975 si erano caricate sulle spalle il compito di fare una televisione diversa,in particolare una televisione di servizio per il cittadino utente. Si individuò il tramite nuovo nella Terza Rete con i suoi programmi nazionali fortemente innovativi e per la prima volta per il colosso di viale Mazzini,con l’informazione regionale. Una novità e una scommessa che i nascenti network privati lasciarono tutto intero all’azienda pubblica perché l’informazione regionale è, appunto, un servizio e non un business.Ora in tanti di questa scommessa e delle potenzialità non sfruttate, di questa innovazione parzialmente sviluppata, si sono scordati in tanti. Peccato.Sembra aver perso la sua memoria storica la Rai che negli anni ha lasciato le redazioni e le sedi regionali impoverire quanto a organici e soprattutto quanto a mezzi tecnologici e finanziari. Un processo di obsolescenza che è stato lasciato partire ,maturare, arrivare a fine corsa. Aspettando la rivoluzione digitale imminente o già arrivata, forse superata (capirlo in Rai è complesso) e chissà come andrà a finire. Eppure ha un contratto di servizio con lo Stato da onorare. E’, come noto, il contratto che giustifica il canone. Il cittadino paga un canone per ricevere un servizio, un pubblico servizio. Se possibile completo. Se possibile intero anche nella sua parte di telegiornali locali. Anche i giornalisti ,Rai e non Rai,le loro rappresentanze di categoria, appaiono indeboliti nella memoria presi come sono da altre incombenze che puntualmente arrivano con il codice rosso, precedenza assoluta su tutto il resto. Nel resto ovviamente,maledettamente,costantemente,inesorabilmente,l’informazione regionale sta nella parte più lontana, in fondo alla classifica delle priorità. Come dire l’informazione regionale non è una priorità. E allora avanti con Santoro, Dandini e Floris, con il direttore del tg che smarrona e il direttore della rete che espunge dal palinsesto, con l’editto di qui e di la, con questo e quel piano editoriale che non va, con quelle nomine da fare, con quegli organici da rimpinguare. Con quell’integrativo che non si rifirma. Nomine e organici nazionali va da se. Sono priorità, lo sappiamo. Eppure fornire informazione di qualità,informazione di servizio sul territorio dovrebbe essere se non un’emergenza, se non un bollino rosso, almeno una priorità alla pari con le altre priorità, Santoro, Dandini e compagnia cantante. Che pure, diciamolo perché non ci sia chi gridi all’eresia, anche queste sono priorità. Vabbè ma non siano sempre e comunque priorità più priorità delle altre. Chi sembra aver perso la memoria storica del tutto è la politica. La stessa politica che quella riforma l’ha voluta e l’ha fatta. E non solo per la lottizzazione (rete Uno alla dc; rete Due al Psi; rete Tre al pci, tanto per dirla alla spiccia come si usa fare per eccesso di semplificazione) ma per rendere l’articolazione del servizio pubblico radiotelevisivo più vicina alla nuova articolazione regionalistica dello Stato. Le Regioni sono state istituite nel 1970, la riforma della Rai e del 1975. Ecco,ora la politica che tace sembra aver dimenticato la ragione vera di quella riforma. Perchè era necessaria e perché l’ha fatta. E anche la politica si accapiglia sulle altre (giuste,legittime,ma non uniche,non pigliatutto) priorità che ricacciano in fondo alla classifica delle cose da affrontare,da sviluppare,da far crescere ,l’informazione regionale. Così si azzoppano un compito e una vocazione,ma questo sembra importare poco e a pochi. Figuriamoci chi si prende a cuore la questione, adesso con l’era berlusconiana che tramonta, che c’è un corri- corri al riposizionamento,un generale stare alla finestra ad aspettare che passi il momento,il momento della grande crisi finanziaria come il momento dei destini personali. Per questo,anzi a maggior ragione, la protesta dei giornalisti delle redazioni regionali della Rai va seguita con attenzione e se possibile sostenuta con determinazione. Non solo dagli addetti ai lavori perché quando si parla di Rai si parla,è bene ripeterlo, di un servizio che i cittadini hanno il diritto di pretendere al meglio. E hanno il diritto di ricordare alla politica e all’azienda i loro doveri.