Antimafia in Umbria:questione di intelligence.
L’Umbria nella nuova strategia delle mafie: il testo integrale della relazione della Commissione regionale antimafia relativa ai primi sei mesi del 2012. Dalle audizioni emerge con chiarezza che la situazione umbra manifesta i segnidi infiltrazioni criminali di stampo mafioso nell’economia legale e si ricollegapienamente a quanto è affermato nell’ultima relazione della DirezioneInvestigativa Antimafia, laddove si sottolinea che la nuovastrategia delle organizzazioni criminali di stampo mafioso è la espansione delleattività al di fuori del contesto territoriale del mezzogiorno, non nella forma classica del controllo pieno, di dominio, del territorio ma nella ricerca diimpieghi e attività utili al riciclaggio di enormi quantità di denaro liquido provenienti dal traffico di droga, armi ed esseri umani.Le infiltrazioni criminali nell’economia legale non sono solo un fenomeno disostituzione di attività imprenditoriali legali con attività imprenditoriali illegali, svolte ed esercite in modi sopraffattori e intimidatori, utilizzando capitali di provenienza illecita a costi irrisori per mettere fuori mercato la concorrenza. Ben oltre questo, sono caratterizzate dall’acquisizione di attività ad alto tenore di denaro liquido, trasformate in macchine per il riciclaggio di denaro sporco, quindi svuotate, pervertite e infine lasciate morire. Si tratta di un fenomeno criminale nuovo e complesso, i cui effetti sono così descritti dalla DIA: “L’impiego di denaro di provenienza illecita, anche in considerazione della sua crescente dimensione transnazionale, costituisce una grave minaccia per l’economia legale mondiale, alterando il corretto funzionamento dei meccanismi finanziari di mercato” (DIA 2012, p. 306). Dalle audizioni svolte dalla Commissione emerge un quadro regionale, che, sia pure sviluppandosi nelle varie realtà in modi differenti e talora solo embrionali, in particolare tra le province di Perugia e Terni, mostra purtuttavia di uniformarsi non tanto al modello di penetrazione mafiosa classica, costituito dal controllo e dominio del territorio, con le forme note di organizzazione per cosche e ‘ndrine che non è dato rintracciare in Umbria, quanto a quello descritto dalla DIA di una criminalità che agisce nel contesto di finanziarizzazione dell’economia. Il rischio più grave, messo in evidenza da molti dei soggetti auditi, è che la disabitudine a convivere con forme di criminalità organizzata di stampo mafioso, stabilmente insediate nel territorio, come accade in Umbria, porti a una sottovalutazione del fenomeno, rallenti la formazione di anticorpi sociali, abbassi la guardia, consentendo spazio e percorsi di infiltrazione compiuti dalle organizzazioni mafiose senza incontrare resistenze e contrasti, fino a far maturare, nel tessuto sociale, forme di acquiescenza, di convivenza, di supporto e di servizio. Il fenomeno, la sua natura “moderna”, può interessare strati sociali elevati, professionalità delle attività forensi, commercialisti, notai e soprattutto personale dirigenziale del sistema bancario. Alcune tracce di questa “zona grigia” si riscontrano nel narcotraffico e nelle transazioni commerciali e finanziarie che hanno accompagnato alcuni dei tentativi di infiltrazione stroncati dall’intervento delle forze dell’ordine e della magistratura. Uno strumento particolarmente efficace per creare una linea di resistenza, una bonifica del territorio economico, è costituito dal sequestro preventivo di beni, acquisiti attraverso denaro proveniente da attività illecite, il cui onere della prova è a carico dell’indagato. Questo strumento, messo in grande evidenza dal Procuratore distrettuale Antimafia, Giacomo Fumu nella sua audizione, fornisce una utilissimo mezzo di finalizzazione delle segnalazioni o delle denunce da parte dei cittadini che intendono collaborare con la magistratura e le forze dell’ordine. Per agevolare e diffondere l’uso di questo strumento è opinione della commissione che sia necessario costituire uno strumento appositamente edicato, in tutto o in parte, a questo scopo.La Commissione individua tale strumento nel costituendo Osservatorio regionale sulle infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico e finanziario umbro. Qui di seguito verranno esposti alcuni nodi problematici emersi dalle audizioni, proponendo per ognuno una breve analisi che possa rappresentare la guida per un approfondimento e una riflessione futura.
1. Diversificazione tra criminalità diffusa e criminalità organizzata di stampo mafioso.
Per tutti gli attori istituzionali e sociali ascoltati è ben presente la differenza tramodelli di organizzazione che sono il riflesso di poteri, nonché di substrati criminali e sociali diversi presenti sul territorio. In Umbria non si può parlare di ciò che si definisce “signoria territoriale” in senso tradizionale, ovvero di un contesto con un tipo di controllo totale e totalizzante nel territorio e nella vita quotidiana, bensì di due modalità diverse di costruzione del fenomeno criminale organizzato. La prima, costituita principalmente di soggetti stranieri, opera nel territorio regionale in attività legate alla distribuzione delle sostanze stupefacenti e alle rapine. Tale organizzazione criminale è fortemente incidente nel tessuto territoriale e si caratterizza per un alto livello di infiltrazione, sop attutto nell’area urbana della città di Perugia .La seconda modalità è quella tipica delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, che rientrano nell’ambito del art. 416 bis del Codice. Le audizioni confermano la presenza della ‘ndrangheta in provincia di Perugia e, dopo i fatti dell’indagine Apogeo, anche la presenza della camorra, con alcune evidenze anche nella provincia di Terni. Affermazioni suffragate dalle risultanze giudiziarie dirette, per iniziativa di magistratura e forze dell’ordine umbre ,ma soprattutto dalle indagini iniziate in altri territori, principalmente meridionali, che hanno avuto significative diramazioni in Umbria.
Alcune audizioni hanno messo in evidenza una “specializzazione” nelle attività criminali, per cui la ‘ndrangheta si occuperebbe prevalentemente degli appalti e dei rifiuti speciali.L’affermazione che emerge dalle audizioni, ovvero che in Umbria non c’è una criminalità di tipo mafioso con una presenza endemica, un radicamento sul territorio capace di un controllo capillare, va analizzata, spiegata e compresa meglio. Anche in relazione alle attività della Direzione Distrettuale Antimafia non risultano essere presenti processi che riguardano il reato di associazione mafiosa, un reato che nel termine “associazione mafiosa” comprende tutte le associazioni criminose che abbiano un’azione improntata allo stile mafioso, che utilizza una forza intimidatrice in virtù di un vincolo associativo e che porta a occupare sempre più posizioni nella società, in campo economico, amministrativo, professionale e anche politico. Nessuna associazione per delinquere di stampo mafioso è stata individuata come radicata nel territorio dell’Umbria . A tale affermazione si affianca la natura particolare dell’organizzazione, per cui risultano possibili interazioni tra associazioni mafiose, associazioni dedite al traffico degli stupefacenti e degli esseri umani, che hanno natura diversa, soprattutto che hanno origine in contesti internazionali (area del Maghreb e area dei Balcani.Dalle audizioni è emerso che per meglio definire la situazione dell’Umbria e i rischi di infiltrazione che sono presenti e che potrebbero aggravarsi, occorre distinguere nettamente tra infiltrazione mafiosa e radicamento della mafia nel territorio. Gran parte degli auditi conviene che non possiamo parlare di radicamento vero e proprio in Umbria della criminalità organizzata di stampo mafioso Alcuni indicano questo come un dato positivo in quanto viene visto come il segno di un corpo sociale sano, capace di impedire il radicamento di n’associazione mafiosa nel territorio. Altri tendono a notare che non è aratteristico delle mafie allargare la loro sfera d’influenza diretta fuori dai erritori di origine, perché il radicamento è il frutto di una compenetrazione di ortata quasi storica. In tal senso la criminalità mafiosa sembra avere il tratto istintivo del localismo, mentre la dimensione delle sue attività ha sempre più un significato globale. Ciò significa che, associazioni mafiose costituite altrove quando operano in Umbria, non lo fanno ricercando un vero e proprio radicamento territoriale. Neppure oggi la presenza di supercarceri e una certa densità di familiari presenti, come ieri l’alto numero di mafiosi in soggiorno obbligato, o ancora prima, la presenza di microaziende espressione di famiglie mafiose o camorristiche nella ricostruzione del terremoto, ha finora manifestato i caratteri del radicamento mafioso. La presenza delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, stando alle indagini e ai processi, sembra finalizzata al riciclo del denaro di provenienza illegale. L’Umbria, sotto tale aspetto, non ha anticorpi sviluppati e un vigile controllo sociale nei confronti del fenomeno criminale mafioso, e nemmeno l’abitudine a tenere alta la guardia dell’attenzione e del sospetto. Perciò l’Umbria corre il rischio di essere un campo fertile in cui infiltrarsi, acquisire patrimoni, attività con forte flusso di cassa, per operare il riciclaggio dei proventi delle attività mafiose condotte in altre parti .Emerge dalle audizioni che l’assenza di comprovati fenomeni di radicamentoingenera nell’opinione pubblica, nelle organizzazioni sociali ed economiche e anche nel sistema istituzionale, un atteggiamento di sottovalutazione del fenomeno delle infiltrazioni malavitose. Di fronte alle inchieste giudiziarie che evidenziavano un fenomeno inespansione, davanti alle stesse segnalazioni giornalistiche, è prevalsa a lungo l’idea di considerarli episodi isolati, intrusioni in un contesto sano che restava totalmente refrattario all’infiltrazione. Alcuni dei soggetti auditi, pur senza giungere a posizioni negazioniste, hanno manifestato un’esplicita sottovalutazione del rischio di infiltrazione. Tali affermazioni, gravi e pericolose, sono tuttavia importanti perché spostano l’attenzione della commissione sul fatto che è necessario approfondire la dimensione dell’informazione e della formazione dei giovani, ovvero la dimensione culturale come primario strumento di prevenzione .A questo proposito è’ emerso un elemento di rischio potenziale per l’Umbria che vale la pena evidenziare. Si tratta di un risvolto logico prima ancora che giuridico-sociologico: la forte ritrosia delle organizzazioni mafiose a investire denaro nei territori già controllati da altre similari organizzazioni, rende l’Umbria, paradossalmente proprio in ragione della sua sostanziale sanità, un terreno appetibile, così come Marche, Toscana, Lazio, territori liberi da associazioni criminali di riferimento, quindi infiltrabili. Un’ipotesi rafforzata dalle più recenti letture del fenomeno mafioso, soggetto a forti cambiamenti, che si traducono in una profonda riorganizzazione interna.
In particolare si identifica un cambiamento strutturale, un passaggio “da briganti a gentiluomini” per gli affiliati ,che rimettono altresì in gioco il ruolo dei contesti di riferimento, della “signoria territoriale”, per cui gli atti violenti avevano lo scopo di ribadire la forza e la presenza in un territorio, ottenendone il controllo totale. Il cambiamento a cui si assiste prende sempre più la direzione economico-finanziaria, con la formazione di professionisti (specie nelle seconde e terze generazioni) e il coinvolgimento di costoro tramite affiliazione o corruzione. Questo produce un avvicinamento delle strutture criminali alle attività di impresa, da gestire secondo la metodologia criminale.
Sulla scorta di queste valutazioni è necessario individuare iniziative che abbiano lo scopo di creare forti deterrenti legali, azioni di contrasto di tipo preventivo, elevando i livelli di sicurezza percepita che innalzino la soglia di rischio di intercettazione per attività mafiose di tipo imprenditivo.
2. Riciclaggio e reinvestimento
Entrando nel dettaglio dei fenomeni criminali emergono con forza i temi delriciclaggio e del reinvestimento. Si sottolinea una presenza nel territorio che non è diretta e non si manifesta nelle forme più conosciute (estorsioni, pizzo, omicidi) ma nel riciclaggio, che rappresenta per la maggior parte delle auditi il fattore più pregnante, sia nella percezione del fenomeno, sia alla luce dei risvolti investigativi e processuali. Il punto di debolezza, in questo caso, è dettato dalla difficoltà di verificare e provare, anche in sede giudiziaria,l’esistenza del reato ,anche perché, in un contesto di cri i comequello attuale, risulta difficile che un imprenditore o un titolare di azienda in difficoltà, possa rifiutare offerte di denaro. A ciò si aggiunge l’analisi per cui in Umbria è facile riciclare proventi di attività criminose, proprio perché non esiste ancora la cultura dell’attenzione cui si accennava prima, perché non ce n’è mai stato bisogno finora motivi che non determinano riflessioni adeguate sull’origine e la provenienze dei flussi di denaro. Il reinvestimento è di certo una prima forma di infiltrazione e inserimento che determina poi contatti con diversi attori operanti nel territorio. Ciò viene confermato dalle indagini che evidenziano ingenti reinvestimenti di capitale in Umbria, ma non esclusivamente, dato che la fascia interessata è quella dell’Italia centrale. Protagonisti di questo fenomeno sono soggetti riconducibili al clan dei Casalesi. In questo caso si è ricorsi a una metodologia abbastanza tradizionale, cioè il rilevamento di imprese in crisi per un importo superiore a quello effettivo di mercato. In tal senso, il problema è il reinvestimento di capitale, non l’importo: si ha il duplice scopo di portare le imprese al fallimento totale così da utilizzarle per l’emissione di fatture di operazioni inesistenti, che verranno convogliate verso altre imprese allo scopo di riattivarle per produrre reddito. Emerge, da altre audizioni, che sebbene non ci siano regioni avulse da fenomeni di infiltrazione mafiosa, l’Umbria, in quanto zona di pregio, risulta più appetibile per investimenti attraverso i quali riciclare il denaro. Quindi, escludendo l’insediamento tipico delle regioni del sud, viene ribadita la presenza di investimenti e personaggi sospetti, peraltro attentamente monitorati, che suffragano l’esistenza del fenomeno, il cui grado di pervasività è però difficile da stabilire. Una situazione sicuramente da controllare, anche se la soglia di criticità non è molto alta. Continuando ad approfondire tale aspetto, si sottolinea la differenza tra le infiltrazioni di capitale illecito e di provenienza illecita, strutturate in un determinato territorio, e le attività di soggetti criminali, più o meno con un passato di collegamento con grosse organizzazioni criminali, che reinvestono su specifiche aree senza legami attuali. In questo caso non possiamo parlare di reinvestimento o di infiltrazione, ma di una singola azione criminale .
2.1 Settori e ambiti di reinvestimento e riciclaggio
1. Indagini importanti sono portate avanti nel settore del “Compro oro”,segmento potenzialmente a rischio che al momento non presenta connessioni esplicite con la criminalità organizzata (almeno al livello delle indagini condotte finora), riconducibili semmai a iniziative criminali di singoli.
2. Sempre in tema di riciclaggio, altro settore su cui porre attenzione risulta essere quello del gioco. In generale, tutto ciò che ruota intorno ai giochi rappresenta un settore di grandissimo interesse per il crimine organizzato, in quanto formidabile canale di riciclaggio (dalla classica vincita al casinò, alla gestione diretta delle scommesse illegali, alla gestione delle agenzie legali attraverso sistemi illeciti tipo la manomissione delle macchinette per i giochi del Monopolio). La normativa, in tal senso, sembra facilitare tale processo. Al gioco si associa l’altro canale dei locali notturni: di questi un buon 95% sono destinati allo sfruttamento della prostituzione .
3. Parlando di riciclaggio occorre tenere in considerazione quella che viene definita “zona grigia”, vale a dire il complesso sistema di connivenze e convivenza imprescindibili per il radicamento di stampo mafioso. Non a caso, la vicenda dei prestanome è legata al settore dell’edilizia, dei locali notturni e del gioco. Il prestanome è soggetto che di solito appartiene a una cerchia ristretta, fidata, e in moltissimi casi attigua all’organizzazione. Il prestanome, chiunque sia, è un soggetto che opera nel territorio determinando l’inquinamento della società civile locale. Un inquinamento sussistente, in quanto lo stesso soggetto lavora lì, riceve fiducia da altre ditte, da altre imprese, riceve fiducia dalle stesse persone che gli vivono intorno, ha dei clienti, si inserisce nel tessuto sociale prima ancora che economico. Se poi addirittura è un soggetto già residente in Umbria – e in alcuni casi lo è – il fenomeno è ancora più palese .La creazione di questo capitale sociale è la base per la costruzione di reti fiduciarie che avviano meccanismi di radicamento nel breve e lungo periodo.
4. Altro importante legame è quello che lega l’usura con il riciclaggio e l’investimento. Mentre una volta l’usura puntava ad avere il massimo profitto dal punto di vista della liquidità, mettendo tassi di interesse più alti possibile, adesso il problema è come riciclare questo denaro. Vi è un cambiamento di metodo rispetto all’applicazione dell’usura: come già spiegato, si fa in modo di portare l’azienda al punto di collasso. Quando non ce la fa più a pagare, senza usare violenza o intimidazione, agli imprenditori in difficoltà viene offerta la possibilità di cedere l’azienda. E’ uno dei metodi “migliori” per riciclare denaro sporco, diventano subito proprietari dell’impresa, per poi, dopo un po’ di anni, rivenderla a imprenditori puliti e così il denaro è ripulito. In questo caso il problema sta nell’assenza di denunce. Il fenomeno dell’usura rischia oggi di acuirsi a seguito della stretta creditizia.Un sistema di crediti chiuso e vincolato determina situazioni di difficoltà per gli imprenditori, i quali, trovandosi nella situazione di quasi fallimento, cercano diversi canali per sopravvivere. Risulta anche dalle ultime denunce, il collegamento con funzionari di banca che, negato il finanziamento, proponevano direttamente altre possibilità di credito .
5. Particolare attenzione viene rivolta al tema centrale dell’edilizia. Uno dei settori più esposti al riciclaggio e all’infiltrazione è senza dubbio il settore societario edilizio. Qui si impiegano enormi capitali e, di solito, ci si avvale di aziende che operano in subappalto. Con questo sistema si assiste all’ingresso dei “caporali” di camorra, che applicano un sistema di severo sfruttamento economico a danno dei lavoratori .Il meccanismo è quello dei subappalti: questi procedono a catena, poiché a loro volta i subappaltatori ricorrono al subappalto e così a cascata, costituendo una rete di subappalti assolutamente impossibile da gestire. A ciò si aggiunge la possibilità (questo dicono le indagini in corso) degli appalti formali su carta. Se ad esempio una società appaltatrice subappalta a X, X subappalta a Y, Y non fa nulla, prende il contratto di subappalto e lo gira a un terzo, ma per questa “girata” – è come se il subappalto fosse un assegno – ottiene un compenso per la mediazione.Si tratta di un processo incontrollabile. Una soluzione potrebbe essere quella di istituire un albo in cui annotare e verificare le singole società che si occupano di edilizia abilitate a operare sul territorio. Per innalzare il livello di contrasto, diventa cruciale il controllo del cantiere stesso attraverso l’implementazione di un sistema di monitoraggio incisivo e concreto che si aggiunga alla certificazione antimafia, che rappresenta un aspetto più formale.
6. Il tema dell’edilizia si collega direttamente agli appalti. Ciò che viene messo in evidenza, durante le audizioni sul tema, è la questione degli appalti al massimo ribasso. Si tratta di procedure che avvengono senza controlli di alcun tipo: se l’obiettivo è di dare impulso alla concorrenza, costituisce un’illusione la speranza di ottenere un risparmio per la collettività, specie in materia di servizi sociali. C’è bisogno di un sistema di controllo che se da un lato garantisce la concorrenza nei termini delle gare di appalto, dall’altro assicuri la qualità, e la legalità dei proponenti. Per contribuire a rendere il contesto umbro “impermeabile” a questo fenomeno, è necessario immettere nelle procedure degli appalti trasparenza, rigore e semplificazione .A questo proposito, la nuova normativa regionale sugli appalti, che esclude ribassi sulle parti riferite al costo del lavoro, è uno strumento importante. Il punto è che tali accortezze vanno estese, oltre che alla normativa antimafia, agli appalti tra privati. Questo potr bbe rendere molto più ficcanti le indagini.
Sulle compravendite di immobili è fondamentale poi il contributo di notai eavvocati che, con le banche e le società finanziarie, hanno l’obbligo per legge di segnalare fenomeni sospetti.
3. Tratta degli esseri umani
Sebbene assente in tutte le audizioni, altro fenomeno caratterizzante la situazione umbra è quello della tratta degli esseri umani. Uno studio dell’Università di Trento svolto presso la Facoltà di Sociologia circa dodici anni fa, individuava nell’Umbria, nelle Marche, la bassa Toscana e l’alto Lazio, gli approdi della tratta degli esseri umani. Allora, parliamo degli anni 2000, non era ancora entrata in vigore la legge sulla tratta degli esseri umani, che è del 2003.Tutte le contestazioni delle Procure d’Italia e delle Direzioni Distrettuali Antimafia fondavano le accuse sul reato dell’art. 416 bis, cioè sul delitto di associazione mafiosa, in quanto la tratta si caratterizza come espressione dello svilimento totale della persona umana, quindi l’asservimento alle funzioni dell’organizzazione criminale .La differenza, rispetto agli altri fenomeni, è che la tratta è un fenomeno endemico. Le indagini ne danno assoluta contezza, l’Umbria è il territorio finale di destinazione della tratta. Ciò, appunto, rappresenta un problema sociale e culturale endemico alla regione, legato soprattutto al numero di locali notturni in cui si esercita e si sfrutta la prostituzione. A ciò si associa la prostituzione su strada. In questo caso non si parla di infiltrazioni ma di imprese criminali, che non sempre sono oggetto di attenzione da parte di organizzazioni di tipo mafioso: in ogni caso sono gestite da cittadini sia umbri che di altri Paesi, ma che si collocano stabilmente sul territorio umbro.
4. Rifiuti
Altro settore importantissimo ai fini dei lavori in Commissione risulta essere il trattamento dei rifiuti. Qui siamo in un’area tipicamente a rischio che in altre regioni ha prodotto effetti evidenti e pressanti .Particolare sembra essere la situazione del Ternano, laddove sono scattati alcuni allarmi per lo smaltimento dei rifiuti solidi-urbani e gli scarti di lavorazione delle aziende. Da segnalare, però, che non ci sono indagini su questo fronte. Si segnala, altresì, che con riferimento al traffico di rifiuti, la criminalità organizzata trova in Umbria degli ostacoli allo smaltimento illegale, per la natura specifica della regione in cui non c’è agricoltura intensiva, né rilevante attività industriale.
5. Droga
Per quanto riguarda le tematiche del narcotraffico, la commissione si avvale del lavoro svolto dalla Commissione di indagine sul traffico e sul consumo degli stupefacenti in Umbria, una collaborazione che consente di avere una panoramica precisa della situazione internazionale e nazionale, con tutte le ricadute che questo comporta.
5.1 Il narcotraffico nel nostro territorio
La situazione umbra, specie nella zona urbana perugina, desta forte preoccupazione. Perugia è al centro di una rete di smercio che copre un’area molto più vasta della regione. La provenienza dei morti per overdose, in numero eccezionalmente elevato, indica che la dimensione del fenomenoabbraccia anche le regioni vicine. Questa caratteristica attira in Umbria, soprattutto a Perugia, organizzazioni criminali di varia provenienza, che si dividono il mercato. Nella relazione della Procura nazionale antimafia l’Umbria è segnalata per una presenza particolarmente numerosa di quelle che la DIA chiama mafie “alloctone”: albanesi, nigeriane, magrebine. E’ facile ipotizzare legami con le organizzazioni criminali che in Italia detengono tale mercato. In questo contesto si accresce la facilità di accesso alla droga anche dei residenti e, data la popolazione studentesca di Perugia, questo solleva pesantissimi interrogativi e problemi, di natura familiare, educativa e sociale, la cui trattazione esula dai nostri compiti. Rimane confermata, ad oggi (audizione n. 1, 2012), la separazione del mercato della droga umbro, prevalentemente riconducibile a soggetti stranieri, magrebini, nigeriani e albanesi dalle attività della n’drangheta, che è il principale operatore criminale del settore. Dal punto di vista investigativo e dalle indagini emerge un quadro caratterizzato da due piani: il piano dell’importazione di ingenti quantitativi di sostanze stupefacenti e il piano dello smercio delle medesime. Le grandi importazioni di cocaina ed eroina, rivenienti dalla Colombia o dai Paesi del nord Africa, transitano attraverso le storiche realtà dì criminalità organizzata di tipo mafioso, perché sono più potenti, più diffuse, ed hanno più mezzi economici. Lo spacciatore albanese, che porta dall’Albania tre chili di cocaina nella valigia, sicuramente non ha la capacità economica di ordinare in Colombia i duemila chili di cocaina sequestrati a Genova. Invece l’organizzazione mafiosa può farlo .Bisogna quindi distinguere il livello del contatto diretto con i cartelli colombiani di produzione della cocaina che può avere la criminalità organizzata di tipo mafioso, sia essa ‘ndrangheta che Cosa Nostra, o con i Paesi del centro Africa, per l’eroina, ed è un livello di quasi monopolio sul mercato. Altro è lo spaccio nel territorio. Il sistema dello smercio dello stupefacente è chiaramente un sistema piramidale a cascata. La cocaina arriva in un grande porto, ad esempio Genova, da lì viene poi distribuita nelle diverse regioni d’Italia, tra cui l’Umbria. Qui il traffico locale viene gestito da strutture criminali che si caratterizzano sempre di più come organizzazioni mafiose cosiddette “alloctone” (audizione n. 2). La pericolosità del sistema dello spaccio alle dimensioni che manifesta a Perugia, è costituita dalla sua necessità organizzativa di radicamento e di basi logistiche di retrovia. Queste hanno trovato albergo in alcune aree della città, nel centro storico e in quartieri di media periferia, ad alta densità abitativa, dove costituiscono ormai una presenza radicata, diffusa, organizzata e con profili preoccupanti di controllo e dominio del territorio. In questo senso le mafie “alloctone” stanno facendo a Perugia quello che non fanno le mafie tradizionali: occupazione del territorio, acquisizione di basi logistiche, sviluppo di attività legali di mascheramento e organizzazione. A ciò è risultato funzionale il permesso di adibire ad alloggi spazi che non avevano questa destinazione d’uso, il proliferare di attività commerciali di copertura e la mancata vigilanza dei manufatti edili abbandonati, sia nel centro che nelle zone più agricole. Questo fatto pone in assoluto rilievo la necessità di riconquista del territorio da parte della società legale, accompagnata da una robusta opera di repressione delle forze dell’ordine e dalla riacquisizione della conoscenza della popolazione realmente presente in città da parte dell’amministrazione. Rispetto al problema del consumo, malgrado l’Umbria sia inserita in un contesto così critico, sono rimasti invariati i servizi per le tossicodipendenze (11) e le strutture riabilitative residenziali (26), mentre le strutture semi-residenziali sono passate da 3 a 2. (fonte: 2010 – Relazione annuale al Parlamento). Per fare un raffronto con il resto del Paese, secondo i ministeri della Salute e dell’Interno, (dati aggiornati al 31 dicembre 2009) le strutture socio-sanitarie attive dedicate al recupero di coloro che consumano sostanze psicoattive erano in tutto 1.641, di cui 533 (32,5%) servizi pubblici per le tossicodipendenze, e le rimanenti 1.108 (nel 1996 erano 1372) strutture socio-riabilitative. Di queste il 64,7% erano strutture residenziali, il 19% quelle semi-residenziali e il 16,3% i servizi ambulatoriali. Rispetto al 2008 si osserva una riduzione delle strutture socio-riabilitative pari al 1,4% (10 strutture), più marcata per le strutture ambulatoriali (3,7%), mentre il numero delle strutture semi-residenziali è rimasto inalterato (210). Ultimamente la natura del fenomeno si sta evolvendo e cambia aspetto, come si evince dal brusco calo di consumi di stupefacenti che segna un meno 25,7% tra il 2008 e il 2010, dato che può generare ingiustificati ottimismi e che va sempre letto in abbinamento all’abuso di alcol: oggi il 90 per cento dei consumatori di stupefacenti fa abuso di superalcolici, pratica assai diffusa nei fine settimana.
5.2 Nodo critico, l’intelligence
Segnalato da più audizioni, il problema che potremmo definire dell’ intelligence è senza dubbio centrale. Il problema è l’avvio delle indagini preliminari per il quale è necessaria una segnalazione di reato. Solo in seguito a ciò si radica la competenza della Procura della Repubblica per la direzione delle indagini preliminari, l’acquisizione degli elementi di prova e la richiesta al Giudice di sottoporre eventualmente a giudizio le persone che siano state individuate come possibili autori dei reati .Purtroppo si segnala l’assenza di un sistema di intelligence. Mentre esiste sul territorio uno strumento dedicato di carattere repressivo, ovvero la Procura Distrettuale, non risulta esserci analogo strumento per quanto riguarda l’intelligence. È necessario ideare uno strumento capace di analizzare e coordinare le varie situazioni, un soggetto in grado di capire, fatta tutta la disamina delle notizie in proprio possesso, cosa succede nel contesto territoriale.