La diffamazione,la rettifica,la galera e le cause milionarie.
Il carcere per i giornalisti in caso di condanna per diffamazione è l’ultimo veleno di un pasticciaccio brutto che corrode la libertà dell’ informazione prodotta dai mezzi di comunicazione e la qualità dell’informazione ricevuta per diritto non sospendibile dai cittadini. E’ un problema, non il solo. E’ un aspetto e forse neppure il più pernicioso di una tenaglia che ora si prende un pezzo ora un altro e li sposta nella retroguardia. Nelle democrazie, invece ,l’informazione senza infingimenti, l’informazione che orienta,l’informazione che suscita partecipazione dovrebbe essere in prima fila. La pena detentiva in questi giorni è uno spauracchio agitato non solo perché c’è di mezzo la sorte giudiziaria di un collega condannato in quanto direttore responsabile di un giornale che ha pubblicato una notizia risultata non vera. E un paese che manda in galera un giornalista anche per un reato che pur a mezzo stampa non è un reato di opinione non è un buon paese. Il carcere è uno spauracchio, il carcere è una pena dura, la prospettiva del carcere irretisce. D’accordo, è sempre stato così. Questa legge come tutte le leggi a personam va combattuta. Perché la vicenda del direttore Sallusti non si conchiude in se. Però con la stessa veemenza politici,sindacalisti, società civile,pensatori e legislatori di varia estrazione, dovrebbero occuparsi con lo stesso allarme e con la stessa solerzia ( che , figuriamoci infastidiscono lo stesso diretto interessato) di tutti gli altre concause che irretiscono da tempo e con ogni governo e maggioranza parlamentare, il dispiegarsi della libertà di informare con un’informazione non condizionata e quindi non di parte. Dovrebbero occuparsene fintanto che quest’emergenza poliforme e permanente non rientra. Se un giornalista scrive una notizia non veritiera e lo fa in buona fede, dopo aver verificato con le sue fonti, e possibilmente con lo stesso soggetto oggetto della notizia, commette un errore professionale. Si può sbagliare anche in buona fede. Ma perché l’errore non è emendabile con una tempestiva,ampia, completa smentita delle accuse eventualmente correlate ? Perchè nelle aule di giustizia si continua a parlare di provocati pregiudizi immani da riparare con esborsi immani, milioni cash ? E questo anche se l’errore è rimasto in pagina da un numero all’altro di un giornale, da un’edizione all’altra di un telegiornale? I danni fatti con la notizia non corretta perché non sono riparabili dalla notizia corretta pubblicata a rettifica? E’ evidente che serve una nuova normativa sulla rettifica che sia più vincolante dell’attuale. Ed deve essere una legge una volta tanto non strapazzata dalle spinte emotive e dai condizionamenti della fretta contingente.Bisogna riscriverla nell’ambito della riscruttara di una nuova disciplina della professione giornalistica.Dovrebbe esssere altrettanto chiaro che se la notizia è falsa per malafede, per interessi diversi da quelli della buona informazione, il discorso cambia e oltre al codice penale deve essere inflessibile (anche con il carcer?) e parimenti severo anche l’Ordine dei Giornalisti il nostro Csm da riformare da una vita. Ma ormai non si distinguono più i due piani: si querela. Il querelante che quasi sempre è un personaggio di primo piano della politica,della finanza, dell’economia in generale ,una volta puntava ad avere una condanna penale che facesse da apripista al risarcimento del danno in sede civile. Risarcimenti sempre stratosferici quelli richiesti. Come quasi sempre stratosferici quelli accordati dai giudici. E questo avveniva/avviene a prescindere dalla rettifica (una rettifica vera non quelle finzioni di rettifica , tanto per salvarci l’anima ,ma che non ci ha mai salvato il culo, anzi alla rettifiche hanno fatto perdere ogni valore giuridico e questa è soltanto colpa del giornalismo) , dalle scuse e chi più ne ha ne metta. Quanti redattori e direttori di giornali (ancora non si era giunti al paradosso attuale di disgiungere la responsabilità del redattore da quelle del direttore,appunto, responsabile) avrebbero preferito un mese di galera piuttosto che rovinarsi economicamente, talvolta anche per sempre? A conferma del fatto che il carcere mette meno paura dei salassi economici c’è il dato contingente che ora molti querelanti neanche imboccano più la strada del penale. Vanno diritti a batter cassa al civile. E talvolta è evidente non per incassare (certo anche questo conta, ma piùttosto per dare una lezione ritenendo il ristorio una vendetta piuttosto che una eventuale giusta e una multa pena).Sono guai seri. Sono guai seri perché aumentano i rischi che il redattore si ritrovi solo: il legislatore di oggi vorrebbe dare il carcere al cronista e una multa al direttore e già è questa una separazione pericolosa , ma c’è anche chi punta a tagliare quel cordone ombelicale che unisce professionalmente, storicamente, giustamente l’ultimo cronista al diretto del giornale garante di tutta la redazione rispetto all’editore sempre, rispetto a chi rivendica ciò che prevede la legge in caso di errore,inadempienza,incapacità professionale ed altro ancora. Questa figura di garante sta scomparendo. I direttori di giornale sono sempre più manager dell’azienda editoriale e hanno altri compiti: copie vendute,marketing, risparmi sui costi. E l’editore che in caso condanna fino a qualche tempo ci metteva del suo perché era certo che comunque il suo giornale aveva agito con correttezza e se aveva sbagliato l’aveva fatto certo immaginando di agire nella correttezza .Accertato l’errore si era corretto. Ora non è più così :gli editori in caso di processo penale o di processo civile tendono a sfilarsi a non considerare più quel rispondere in solido solidaristico tra i loro doveri. Il cronista dunque resta solo. Se è un giornalista di nome, se è un giornalista leader, se è un giornalista seguito e pagato come una star può resistere , può mettersi al computer senza timori , può affrontare il giornalismo d’inchiesta, il giornalismo da alzare il culo dalle poltrone, il giornalismo che non dorme sulle veline dei palazzi, senza titubanze o involontarie frenate. Senza galera o milioni, che non saranno pallettoni di lupara ,ma che un qualche effetto deterrente anche inconsapevolmente, possono sortirlo. Quello a cui nessuno pensa e quindi quello di cui nessuno parla è il giornalista di fila,il giornalista part- time, il precario a vita.Il giornalista che una multa mettiamo da 50.000 euro di cui si parla in questi giorni, impiegherebbe un decennio di collaborazioni a nero a pagare. Ecco, questo giornalista che ormai costituisce la parte più consistente della popolazione delle redazioni, senza garanzie, con pochissimi diritti e tanti doveri come si difende dal rischio querela penale o civile, come allontana la galera ? In genere è più solo degli altri, più esposto dei garantiti (ammesso che nel panorama della stampa italiana, con tutti problemi che, ha ci siano dei garantiti per sempre e comunque ) cerca di sbagliare il meno possibile di attenersi all’ufficialità. Non cercare guai è l’unica arma che ha. Ma spesso per non cercare guai si finisce col non cercare notizie. E non cercare notizie, non pubblicare un certo tipo di notizie,quelle pericolose, scivolose,scomode, è l’obbiettivo finale della tenaglia che si sta stringendo intorno al collo del giornalismo: carcere, risarcimenti milionari,lavoro precario, posto di lavoro sempre in forse. Sallusti, in fondo, e probabilmente non volendo, ci ricorda tutto questo.