Una lettera di Luigi Chiatti all’Unione Sarda :non sono più quello raccontato dai giornali
Luigi Chiatti torna a parlare di sé, dopo tanti anni. Dopo i processi che lo hanno condannato in primo grado a due ergastoli, in appello a trenta anni, pena definitiva confermata dalla Cassazione. Chiatti ha ucciso un bambino di neanche 4 anni, Simone Allegretti, e un adolescente, Lorenzo Paolucci di tredici anni. I delitti avvennero nel 1992 e nel 1993. Tra i due omicidi in uno scritto indirizzato alle forze dell’ordine il geometra allora ventiquattrenne si definì “Il mostro di Foligno”: una sfida agli investigatori che gli davano la caccia o forse una richiesta di aiuto e un segnale per farsi prendere. Durante il processo, il precedente del suo parlare di se, affermò che rimesso in libertà poteva anche uccidere ancora. Oggi che si trova nella Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza di Copoterra in provincia di Cagliari perché scontata la pena detentiva è stato per due volte giudicato ancora socialmente pericoloso dal Tribunale di Sorveglianza e quindi con questa pena accessoria che prevede una rivalutazione ogni tre anni non può lasciare la struttura che ha sostituito il manicomio criminale ha indirizzato una lettera ai genitori delle sue vittime attraverso le colonne de “l’Unione Sarda “.
«Oggi sono una persona molto diversa, che non si riconosce in quella descritta dai mass-media. Se potessi tornare indietro non rifarei mai quello che ho fatto, perché ciò che ho fatto è istruzione della vita e disprezzo del creato». «Ritengo doveroso rivolgermi ai familiari delle povere giovani vittime, Simone e Lorenzo, prematuramente private a causa mia della loro vita».
«Ciò che vorrei trasmettere è che, ancor oggi – si legge nella lettera – nel loro ricordo, provo una forte sensazione di immenso dolore personale che mi strugge grandemente nel ricordo dal profondo del mio cuore, tanto da aver suscitato in questi lunghi anni tanti e tanti interrogativi, tra i quali il principale è se fosse giusto o no concedermi la possibilità di rinascere a vita nuova e, quindi, rientrare tra la gente in società, considerato il dolore presente, senza fine, che a causa mia si è determinato ed è presente nelle famiglie e in tante altre persone legate alle vittime. Mi dispiace, vi chiedo umilmente scusa con il cuore in mano». Chiatti non chiede di essere perdonato perché sa ” che è difficilissimo, ma per lo meno di concedermi di dare “un senso” al sacrificio delle due vittime. Io credo, anzi, sono oggi convinto, che anche da un evento così tragico si possa trarre qualcosa di positivo, dal male più profondo può emergere la luce, attraverso un processo di trasformazione e rinascita interiore della persona, ed è quello che è accaduto in questi anni». «In questi anni di restrizione ho cercato di trasformare tutto il male fatto in gesti di aiuto nei confronti di chi, come me ristretto, si trovava in difficoltà nello svolgere al meglio tutte le mansioni di responsabilità che mi venivano assegnate, comportandomi bene con tutti, tanto da essere ben voluto da tutti quelli che mi hanno conosciuto personalmente e, ogni volta che lo facevo per me, era un dono fatto a Simone e Lorenzo, e ciò mi rendeva immensamente felice, perché era un modo per dare, come ho già detto in precedenza, un senso alla loro prematura morte. Ho cominciato ad apprezzare le gratifiche delle persone da me aiutate. Nella vita non c’è miglior cosa che agire per il bene, i ricordi delle persone aiutate rimangono per sempre ed illuminano la vita». «Ora, non avendo potuto usufruire del benefici a causa dell’attesa della riesamina della pericolosità sociale, era difficile pensare a un’uscita immediata dopo la detenzione ma, più sensata la decisione di applicare la misura di sicurezza per dare poi avvio, come è successo, a quella fase di reinserimento esterno». Poi cerca di «rassicurare, per quanto mi è possibile, le famiglie delle povere vittime». «Oggi c’è una persona diversa ristretta, una luce non riconosciuta che vuole essere accolta semplicemente perché è luce, non è più negativa ma positiva, e che vuole tanto dare agli altri, trasmettere se stessa e dare un senso a tutto ciò che è avvenuto e che non doveva avvenire. Se potessi tornare indietro non rifarei mai quello che ho fatto perché ciò che ho fatto è distruzione della vita e disprezzo del creato. Scusatemi». Dunque una sorta di pentimento che il geometra umbro non ha mai manifestato prima. Neanche in aula, quando poteva essere utile nello svolgimento del dibattimento. Lo fa ora, evidentemente nel tentativo di cancellare quella pericolosità sociale che potrebbe anche voler dire un fine pena mai. Come detto la legge prevede una periodica valutazione del permanere o meno di tale condizione.