” Il risolutore” : riempire la cella di parole scritte per diventare un altro.
Dalla prefazione di ANTONIO SCARFONE
Giambattista Scarfone, classe 1962, calabrese d’origine e milanese d’adozione, è un uomo che quando parla ti guarda dritto negli occhi. Una persona senza dubbio particolare, intelligente, dallo sguardo vivace, dalla battuta sempre pronta e acuta, dalla personalità forte. Una persona con cui puoi parlare per ore, di tutto, senza mai annoiarti, in un confronto sempre costruttivo, divertente e mai banale. Una persona la cui vita potrebbe essere la trama di un libro, o di un film di successo, se non altro per la velocità con cui la stessa sua vita è stata vissuta, un po’ come se di vite ne avesse vissute diverse. Una vita che ha consistito in un continuo esercizio di adattamento agli eventi, cosa che avviene per chiunque, ma soprattutto in una reale consapevolezza della stessa, cosa che avviene per pochi. Un’esperienza di vita la sua che forse, chissà per quale misterioso superiore disegno, prevedeva delle dure e importanti prove cui lui sarebbe stato sottoposto. E questo si vide sin dalla sua nascita quando, al momento del parto, il cordone ombelicale aveva fatto più giri intorno al suo collo tenendolo, ironia della sorte, imprigionato in una morsa che poteva essergli fatale. Giunge così al mondo sotto il segno del Leone questo bambino vispo e pieno di vita, primogenito di tre figli, meritato dono del cielo a due genitori onesti e laboriosi come furono i suoi. Una fanciullezza vissuta nel paese di nascita, Sant’Agata del Bianco, un piccolo borgo di poche centinaia di anime situato in provincia di Reggio Calabria.
Un luogo di gente umile e di fini maestranze, che diede i natali anche al grande scrittore Saverio Strati, e in cui si riunivano segretamente, nella prima metà dell’‘800, quei giovani valorosi, precursori dell’Unità d’Italia, che oggi conosciamo come I Cinque Martiri di Gerace.Un agglomerato di case, Sant’Agata, adagiato su uno stupendo scorcio d’Italia, tra l’Aspromonte e il Mare Jonio, dove il tempo sembra essersi fermato, dove ci si conosce tutti, dove le gioie e le disarmonie della vita si condividono come un tempo, secondo quei valori di vita tramandati da quei “vecchi” che, avvolti nel loro alone di saggezza e di umiltà, ancora oggi vivono con gioia l’attesa del tramonto. Una realtà ricca di alcune cose ma forse povera di altre. Ed è per questo motivo che Giamba – così lo chiamano tutti affettuosamente – ormai divenuto un ragazzo, decide di lasciare il paese alla volta di Milano, in cerca di fortuna.Milano è il sogno, il Nord, la possibilità, la metropoli che ti accoglie, che ti coccola, che forse ti vizia e che, come tutti i vizi, spesso da piacere si può trasformare in trappola. E così è stato. Ed è arrivato il carcere, nella sua forma più crudele e pesante: trent’anni di reclusione. Non importa se da colpevole o da innocente ma fatto sta che lui, nel fiore degli anni poiché poco più che trentenne, si è ritrovato improvvisamente in una nuova morsa che, come il cordone ombelicale alla nascita, poteva essergli fatale, e non soltanto con la morte del corpo ma soprattutto con la morte della mente, che è forse la morte peggiore.Ripensando alla portata della sua condanna, piombata nel momento in cui aveva una vita davanti, spesso con gli occhi lucidi commenta: “Ho visto fare buio a mezzogiorno”.
Mi sono chiesto più volte cosa si possa provare in una simile situazione di concreto disagio, dove le eventuali colpe o errori non contano davvero più nulla, dove la vita nella sua più nascosta essenza ha bisogno di un appiglio per potersi reggere in una prova che metterebbe in difficoltà chiunque. Una prova talmente dura e cruda che concettualmente e concretamente si pone realmente al di sopra della colpevolezza, dell’innocenza e di qualunque umana forma di giudizio.Fortunatamente la reazione, positiva, non ha tardato ad arrivare ed è arrivata nel carcere di massima sicurezza di Spoleto, in Umbria, dove, approdato per punizione, trova invece il suo nuovo equilibrio interiore.
Alla noia e alla solitudine di una cella, dove lo spazio non è sufficiente per fare nulla di tutto ciò che si era abituati a fare, dove la terribile tristezza del contesto mina i nervi, il cuore, la vita, Giamba ci ha messo la lettura. Del resto, insieme alla musica, la lettura era una sua antica passione. Anche prima della detenzione, infatti, nei suoi discorsi c’era sempre spazio per qualche citazione di qualche grande scrittore, o per qualche verso di un poeta, o per qualche stralcio di qualche canzone d’autore, che scandiva con orgoglio mescolata al fumo del suo inseparabile sigaro cubano, fedele compagno di quel periodo e che oggi, senza rimpianto, non fuma più.Per anni, tra le mura del carcere, ha divorato decine e decine di libri, immagazzinando nozioni e piaceri che la sua vita vissuta con l’accelleratore sempre premuto al massimo non gli aveva mai consentito di assaporare a pieno. Tanto era affamato di conoscenza che i libri diventano il suo cibo e si dedica allo studio con l’intenzione di approfondire tutto ciò che è di suo interesse. E così assorbe come una spugna nozioni di ogni genere e argomento, fatti concreti, come di storia o delle scienze, per esempio. Fino a quando, pensando ai grandi romanzi, si chiede come fosse possibile che persone in carne ed ossa come lui potessero dare vita a storie tanto inventate quanto coinvolgenti e affascinanti, che potrebbero essere vere. Si accorge così della magia del romanzo visto dal punto di vista non di chi legge ma di chi scrive. Ed osa.
Davanti un foglio di carta bianco, in mano una penna, nella mente un groviglio di idee, di personaggi, di situazioni da ordinare, da mettere in fila. In quel momento dimentica di essere in carcere e inizia a volare oltre le spesse mura di cemento armato e oltre le tenaci sbarre di ferro di quel freddo luogo. Vola leggero, rincorrendo le nuove storie di questi nuovi personaggi che via via emergono con naturalezza riempiendo di luce nuova la sua vita e di inchiostro centinaia e centinaia di pagine. E’ un fiume in piena.Gli si svela davanti agli occhi un nuovo mondo che apre nuove finestre che si affacciano su altri nuovi mondi. E’ la vita. La sua. La risente pulsare forte nelle sue vene. E’ un suo nuovo inaspettato piacevole capitolo.Oggi di libri ne ha scritti 37, mai pubblicati. La maggior parte della sua produzione è rappresentata da romanzi, prevalentemente noir, ma ha scritto anche poesie, filastrocche, canzoni, racconti, favole per bambini. E continua a scrivere.Ha partecipato a diversi concorsi letterari aggiudicandosi importanti premi che la sua condizione di detenuto lo ha privato del piacere e della gioia di poterli ritirare di persona.Su di lui sono stati scritti diversi articoli di giornale, sono stati fatti diversi servizi e interviste da parte di importanti emittenti nazionali, si sono pronunciati diverse illustri personalità della scrittura e del giornalismo, ma la vera gioia la riceve dal lettore, che lui considera il critico più vero.Sebbene sia stato più volte invitato a scrivere di sé ha sempre rifiutato l’idea poiché ritiene immensamente triste andarsi a rileggere dopo ciò che è stato. Sarebbe come rivangare la sua vita andando così a rivivere anche i tanti, troppi momenti bui che ormai fanno parte del suo passato, di un passato che non dimentica e che non rinnega poiché, come lui stesso ama affermare, “Se oggi sono ciò che sono, lo devo anche a ciò che sono stato ieri”. Grande atto di maturità e di coraggio il suo, non tanto nei confronti degli altri ma di se stesso, segno che la sua complessa vita è stata da lui metabolizzata, accettata, compresa. Questo grazie ad un percorso spontaneo, iniziato quasi in maniera inconsapevole, che lo ha portato a fare i conti con se stesso, senza maschere, senza finzione, secondo l’unico e più difficile modo: guardarsi dentro. Questa è la via più difficile poiché guardandosi dentro si può trovare di tutto, anche dei mostri, ma anche quella scintilla divina che ci mette in vera armonia con noi stessi, con gli altri, con l’Universo.
Questa è la storia di Giambattista Scarfone, il quale è riuscito a realizzare la più difficile alchimia: trasformare il dolore in piacere, la difficoltà in fiducia, il disagio in forza, la possibile morte dell’anima in vera rinascita, la privazione della libertà del corpo nel piacere della scoperta della vera libertà, quella dell’anima.
“Il Risolutore” è la sua prima opera ad essere pubblicata. E’ parte di una trilogia su vizio, denaro e potere. Non voglio aggiungere nulla circa la trama del libro per non togliere al lettore il piacere della scoperta, né intendo esternare un mio personale giudizio su questa opera che ovviamente ho letto e apprezzato ma il cui significato, a mio parere, va ben oltre quelli che potrebbero essere i meriti letterari che tuttavia sicuramente esprime. Un giudizio, il mio, che sarebbe inutile poiché rappresenterebbe soltanto il mio punto di vista, che poca importanza ha, e al contempo inopportuno poiché credo fermamente nella altrui libertà di giudizio che non vorrei in nessun modo condizionare.Auguro al lettore di emozionarsi in una serena e piacevole lettura.Auguro a Giamba, vivo esempio di speranza e di rinascita per tutti, di continuare a costruire, con generosità ed entusiasmo, pietra su pietra, il suo nuovo cammino.
Antonio Scarfone