Le grandi inchieste di un piccola Procura molto ambita.
di ALLAN FONTEVECCHIA-Pare si stesse tramando anche per avere un magistrato amico sulla grande poltrona della piccola Procura della Repubblica di Perugia che proprio oggi il procuratore capo Luigi De Ficchy ha lasciato libera, compiuti 70 anni e imboccata la via della pensione. E’ uno dei sospetti nati dall’inchiesta che vede tra i principali indagati Luca Palamara, ex membro del Consiglio Superiore della Magistratura , ex presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, pubblico ministero a Roma. Ed è la Procura perugina con i sostituti Gemma Miliani e Mario Formisano ad accusarlo di corruzione. Punto di riferimento di una “cricca” di toghe e politici dedita allo smistamento di incarichi sulla base di un qualche tornaconto personale o per il tornaconto di amici generosi poi nel contraccambiare in qualche modo il favore. L’inchiesta coinvolge, a vario titolo, altri magistrati. Il dottor Palamara ieri negli uffici di via Fiorenzo di Lorenzo ha respinto le accuse : nessun baratto, nessuna manovra per pilotare nomine e incarichi. Ma, al di la delle responsabilità dei singoli che dovranno essere accertate, il dato di fatto è che il lavoro dei magistrati perugini sta verificando, con le risultanze investigative del Gico della Guardia di Finanza, il corretto funzionamento di una istituzione espressione di uno dei poteri dello Stato: non è poco, in termini di gravità, doverlo fare. Perugia è titolare di questa delicatissima indagine perchè, per legge, tocca a Perugia indagare sui magistrati romani che inciampano nella giustizia. Questo comporta che : negli anni la nomina dei vertici della Procura è stata spesso tormentata e con lunghi periodi di vacanza; che il vertice dunque sia particolarmente ambito se non altro per avere il riconoscimento di una professionalità adeguata alla particolarità del materiale che capita da queste parti ; che gli organici (togati e non) siano storicamente e cronicamente sottodimensionati per le energie che i grandi processi in transito dalla capitale assorbono; che le dotazioni tecnologiche e gli spazi operativi sono incredibilmente inadeguati; che solo l’abnegazione e l’impegno di tutti gli addetti fronteggia una costante emergenza che rischia di penalizzare la cosiddetta ordinaria amministrazione che pure è fatta di diritti e doveri ed è più prossima al quotidiano di ogni cittadino .Recentemente ” il Messaggero” ha raccontato come una piccola procura ha fronteggiato in una trentina di anni di ondate di grandi inchieste limitando i rischi di una giustizia a due velocità. Con misure e pesi stabiliti dai nomi dentro i fascicoli.
Gli anni ’90 stanno per finire e tra piazza Matteotti , corso Vannucci, via delle Streghe dove c’è la direzione distrettuale antimafia, camminano frettolosi cercando l’invisibilità uomini che per il loro potere hanno una grande notorietà.
Eccone alcuni: Lorenzo Necci, manager delle ferrovie; Domenico Bonifaci, costruttore; Pier Francesco Pacini Battaglia, finanziere con la cittadinanza svizzera;Enrico Nicoletti, consulente economico della banda della Magliana , Giuseppe Ciarrapico, imprenditore, Nicolò Pollari, generale della guardia di finanza; Renato Squillante, alto magistrato .
Sono a Perugia perché, indagati o testimoni, toccati o soltanto sfiorati dai sospetti, sono dentro una ragnatela di inchieste che imprigiona un sistema di corruzione dove mazzette e favori avrebbero prodotto sentenze aggiustate e provvedimenti tarocchi. Un prolungamento di Mani Pulite con un impressionante numero di magistrati nel registro degli indagati a farne un caso tanto clamoroso da meritarsi la definizione di “Tangentopoli Due” nei titoli dei giornali.
Perugia è competente a indagare sui reati che coinvolgono i magistrati romani e, a cascata, su quanti sono coinvolti nello loro malefatte. Ecco perché è di casa anche il sostituto procuratore Claudio Vitalone che con il sette volte presidente del consiglio Giulio Andreotti, i mafiosi Gaetano Badalamenti, Pippo Calò e Angelo la Barbera e l’ex Nar Massimo Carminati è sotto inchiesta per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli. Questa è una storia a parte, con una diversa trama e l’assoluzione per tutti nel gran finale in Cassazione : però passa ,aumentando l’ingorgo, per lo stesso crocevia giudiziario . Dunque il seguito di Mani pulite. 500 fascicoli di un’inchiesta avviata a La Spezia arrivano con un Tir per i pubblici ministeri Fausto Cardella, Michele Renzo, Alessandro Cannevale e Dario Razzi.
La piccola Perugia, con pochi magistrati, scarso personale , hardware da pretura di paese, come la grande Milano della “Tangentopoli Uno “, quella di Borrelli, Colombo, Davigo, Boccassini e Di Pietro. La piccola Perugia che poteva soccombere sotto quella mole di carte con una strambata di superlavoro salva la normalità e doppia l’emergenza. Quarantacinque persone vanno presto a giudizio.
Dieci anni più tardi però la maggior parte dei reati cade in prescrizione perché gli illeciti erano stati scoperti troppo tardi e troppo tardi era scattata la competenza territoriale. Molti degli indagati per questo sono prosciolti, Squillante è assolto nel 2007. Un buon numero di altri uomini con la toga però sono condannati per gli impicci che avevano combinato.
E’ il 2010 quando c’è l’assoluzione di Pacini Battaglia. La Seconda Repubblica impera: tangentopoli, la Uno come la Due, sono ormai reperti antichi.
sempre grande amico mio…ciao