Il kanun e la vendetta che porta la morte
Il Kanun è un’antica legge non scritta che giustifica anche l’ omicidio quando è vendetta per un congiunto morto ammazzato. Ed è proprio per un delitto avvenuto a Gualdo Tadino che riferimenti a questo sanguinario codice d’onore albanese sono diventati parte sostanziale di un provvedimento giudiziario. Infatti, ad un giovane immigrato dall’Albania coinvolto nell’ omicidio di un suo connazionale , scontati 14 anni di carcere, è stata accordata una protezione internazionale che lo mette al riparo dal Kanun. Non era mai successo prima. Non quando vennero falciate dal piombo di loro connazionali sette persone, tutte intorno ai trenta anni, coinvolte nelle faide tra gruppi di Tirana in guerra per avere il controllo del traffico della droga, degli esseri umani e della prostituzione a Perugia. Regolamento di conti in poco più di due anni sul finire del secolo scorso. Il ventisettenne Alfred Gega, detto Fredi, considerato il capo della comunità di immigrati , viene accollato a morte davanti al bar della stazione di Gualdo Tadino il giorno di Natale del 2002. Era con un amico. Li circondano in sette, bastoni e lame. Fredi rimane sull’asfalto. Clarim Dedushi, caricato sull’ambulanza, è grave, ma si salva. Gli aggressori sono identificati dai carabinieri. Sono muratori come le loro vittime. Avrebbero agito per il pugno con il quale qualche ora prima Freddi aveva colpito uno di loro. L’esecutore materiale , che è latitante, è individuato in Elvis Ndoja , In primo grado gli danno 22 anni di carcere. La pena definitiva per uno dei più giovani è di 14 anni. Saldato il conto, ha un problema. Teme che per il codice del Kanun qualcuno si incarichi di fargli pagare con la vita la morte di Alfred Gega, anche se le carte processuali non gli danno la responsabilità diretta dell’omicidio . Chiede per questo all’autorità italiane che sia ammesso alla protezione sussidiaria che è una particolare forma di asilo politico prevista dalla Costituzione. La legge prevede che siano le commissioni territoriali ad istruire le partiche relative e a dare il parere definitivo. La sua richiesta è bocciata. Presenta ricorso alla Corte d’Appello che gli dà ragione perché, “ il reclamante ha sufficientemente documentato l’attuale pratica della vendetta di sangue secondo il codice consuetudinario detto Kanun particolarmente diffusa nelle zone del nord dell’Albania”. La sentenza spiega che il codice della vendetta attribuisce ai famigliari della vittima di un omicidio due possibilità di risposta : l’eliminazione dell’ assassino; tenerlo prigioniero in casa e cancellarlo socialmente. E annota: “ nell’ordinamento albanese non ci sono norme speciali per contrastare il diffuso ricorso alla vendetta di sangue e la polizia non riescono, a tutelare i cittadini dalle uccisione perpetrate in nome del Kanun”.L’Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa ha raccolto questa dichiarazione di Paolo Cogni, docente dell’Università di Macerata e difensore dell’albanese : i contenuti di questa sentenza hanno una rilevanza internazionale perché riconoscono come forme di diritto consuetudinario che violano i diritti fondamentali dell’uomo possono essere un valido fondamento per la richiesta di protezione”.