I furti di rame e gli affari della criminalità
A star dietro a tutti i passaggi di mano di un vaso di rame rubato in un cimitero umbro si potrebbero percorrere migliaia di chilometri per raggiungere la destinazione finale che in genere è in uno dei paesi dell’Africa del nord o dell’Europa dell’est dove la materia prima scarseggia e sono floride le operazioni di riciclaggio. Controllate anche finanziariamente dalla criminalità organizzata. Le mafie italiane e straniere, spesso in attività consociata, controllano l’andamento del mercato ufficiale e si regolano di conseguenza: quando il prezzo sale , mettiamo che superi gli otto euro al chilo, i furti aumentano perché si allarga contemporaneamente il margine del profitto delle compravendite illegali che può superare la soglia del cinquanta per cento che è il ricavato medio dei furti . Soprattutto se è materiale vergine come quello stoccato nei depositi ferroviari, delle compagnie telefoniche o delle aziende che lo impiegano per la costruzione delle linee elettriche. Appartengono a questa tipologia due furti avvenuto a distanza di venti anni l’uno dall’altro. Il primo fu il saccheggio del magazzino delle ferrovie di Orvieto Scalo. Quattro slavi partiti da Roma portarono via con due furgoni rubati otto bobine di rame ancora imballate, valore un miliardo. Colpo clamoroso, ma andato a vuoto. La banda venne intercettata dai carabinieri: due arresti e due fuggiaschi. Il colpo più recente, della stessa tipologia , è di quest’anno ed è avvenuto a Sansepolcro, un passo da Città di Castello. 16 quintali di cosiddetto “oro rosso” sono spariti dal capannone di un’impresa che tratta materiali e componenti elettrici. Refurtiva e malviventi scomparsi nel nulla. La filiera furto (spesso su commissione)- ricettazione- riciclaggio ( non solo in fonderie clandestine) è così estesa che al Ministero degli Interni da tempo è entrato in funzione un Osservatorio per il monitoraggio delle quotazioni e di ogni fenomeno sospetto. Inoltre, a conferma e che sempre più spesso i reati ascrivibili a questa specificità criminale sono trattati dalle Direzioni Distrettuali Antimafia. Ad alimentare questo business c’è poi il lavoro quotidiano dei pesci piccoli: quelli che rubano vasi e portalampade nei cimiteri e nelle chiese, grondaie e canali nei cantieri edili, matasse elettriche negli empori all’ingrosso. In genere agiscono in piccoli gruppi, non si fanno concorrenza, ma sanno a chi far capo. Il paradigma di questa seconda situazione è in un recente fatto di cronaca avvenuto a Foligno. In due durante la notte del 6 marzo scorso hanno devastato un locomotore storico, antico ma funzionante, per un bottino di varia oggettistica , 3 quintali di metallo pregiato da rivendere al primo ricettatore di fiducia. Sono stati arrestati appena controllato il bagagliaio. Erano fermi in macchina. Forse in attesa di uno o più complici. Le forme di alimentazione del commercio clandestino sono molteplici. È un po’ come la droga: ci sono i trafficanti e ci sono gli spacciatori al dettaglio. E i primi come i secondi sanno che i loro affari dipendono dalle mafie che sempre più in maniera diffusa controllano tutta la filiera. Probabilmente il fenomeno non aveva ancora queste caratteristiche quando nel 1983 per rubare un po’ di rame ci fu chi tentò di portar via l’intero monumento ai caduti di Scafali di Foligno. Ovviamente non ci riuscì.