grandi crimini:rinsaviranno i talk show?
Nei programmi di intrattenimento che sono segmenti televisivi dove diversi generi(informazione e spettacolo) e linguaggi (cronaca e commento) si mescolano con risultati audience e di impatto sull’opinione pubblica da far sempre più contenti editori e inserzionisti pubblicitari-si notano alcuni fenomeni che seppur talvolta contraddittori fanno sperare in un rinsavimento, impensabile fino a qualche stagione fa, dei talk-show. Anche quando i loro interesse che è ossessivo e fuorviante (più spazio al giallo di Avetrana che al disastro nucleare giapponese)in particolare quando è incentrato sui fatti della cronaca nera. Il primo elemento che delinea l’avvio di una condotta relativamente diversa è la crescente presenza e quindi l’aumento dello spazio-parola nello spettacolo della parola- di cronisti che raccontano i fatti per averli conosciuti da vicino e quindi non li immaginano, non li rappresentano, non li astraggono in ipotesi futuribili,non li proiettano oltre le possibilità dei modi e dei tempi del codice di procedura penale. Semplicemente li raccontano per quello che sono:questo è il compito,il dovere, del giornalista. Ecco allora che sono sempre più spesso gli inviati -presenti sui fatti- a correggere lo spostamento dal focus che nei salotti televisivi inevitabilmente avviene quando l’argomento subisce le torsione di esperti di vario profilo e di varie specializzazioni che non hanno, spesso, conoscenza diretta dei fatti e degli sviluppi che dalla cronaca nera passano alla cronaca giudiziaria. Peggio: sul fatto sono chiamati a discettare anche personaggi di tipo diverso:attori,cantanti, uomini di vario spettacolo, come richiede l’intrattenimento televisivo. Eppure continuano ad essere queste torsioni- per la resa televisiva dei soggetti protagonisti,per la loro riconoscibilità e per la loro popolarità nel pubblico- a fare opinione. Sono questi personaggi-protagonisti e veri attori di un flusso di parole che diventa processo mediatico sotto il peso del quale soccombe, talvolta, l’informazione. Una trasmissione diventa processo mediatico per questo tipo di intrusioni. L’intervento dei giornalisti collegati in esterna,però cominciano ad avere quel peso necessario quantomeno per ricondurre ai fatti un dibattito che spesso si sviluppa- per il precedentemente detto- più sulla rappresentazione spettacolarizzata (molto a beneficio dell’audience,molto meno favore della completezza e onestà dell’informazione) dei fatti che sulla loro evoluzione reale. Un lavoro prezioso, fondamentale dal quale cominciare una narrazione,anche televisiva, che non sia proiezione di altro :e meno male che non sono-o non lo sono ancora- dei personaggi televisivi, e meno male che sono,o restano, testimoni diretti di un determinato evento. Come dire:ad ognuno il suo mestiere. Il secondo elemento di positività riscontrabile pur nel permanente rischio della sovrapposizione dei piani della cronaca fattuale e della rappresentazione è dato dal crescente riconoscimento che viene dato-direttamente o indirettamente- ai cronisti locali che non sono né prime firme né personaggi televisivi da talk show o costruiti dai talk show. Almeno fino alla soglia di oggi,alla porta appena aperta. I cronisti locali meglio strutturati e meglio professionalizzati- sono lì con la loro conoscenza dei fatti, dell’ambiente, dei protagonisti. Con il loro rapporto quotidiano e diretto con le fonti. Con il loro bagaglio di conoscenze che un inviato non può oggettivamente acquisire nelle poche ore o nei pochi giorni che sta sull’accaduto da raccontare. Anche la televisione delle parole,la televisione dei grandi ascolti, si sta accorgendo di loro. E’ un riconoscimento tardivo,ma doveroso. Non fosse altro per qualità e l’utilità del loro lavoro. Un lavoro spesso precario e malpagato. Lavoro e condizioni di lavoro che difficilmente trovano diritto di cittadinanza –eppure è una delle questione centrali della centralissima questione della libertà di informazione- nei dibattiti,nei convegni,nelle rassegne sullo specifico professionale com’è, ad esempio il Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia. Dibattere di sconosciuti,di incertezza occupazionale,di disoccupazione, di lavoro pagato cinque euro al pezzo,non riempie i teatri ( e neanche gli alberghi delle città ospitanti): sarà per questo che viene ritenuto opportuno parlar d’altro,per quanto importante e nobile sia questo altro. Un terzo spunto di riflessione in tema di grandi crimini,televisione e processi mediatici (di questo in fondo si parla) viene dalle trasmissioni che con la cronaca rendono al cittadino-ascoltatore un servizio pubblico (quel servizio che deve giustificare il canone). E’ il caso del <<Chi l’ha visto?>> di Rai Tre. La trasmissione da oltre un ventennio svolge questo ruolo con questa vocazione: più narrazione che spettacolarizzazione, più informazione di utilità che ricerca ammiccante di ascolti . Narrazione perché sia ritrovata una persona scomparsa,perché un’indagine sia riaperta,perché un cittadino abbia giustizia, perché un’ingiustizia o un dolore non siano dimenticati. Un aiuto per certi versi specialistico, un servizio che non è destinato soltanto al diretto interessato,ma in fondo a tutta la collettività. E’ un esempio- ovviamente non esente da difetti,da scivolamenti,da momenti no- di televisione che fornisce un servizio pubblico, si diceva. E questo specifico sta entrando nei programmi generalisti di una televisione che sa essere più facilmente generalista e commerciale che di pubblico servizio. Perchè è più facile, meno impegnata e meno rischiosa. Non da fastidio a nessuno. Eppure anche questa televisione sempre più spesso deve attingere a <<Chi l’ha visto?>>.Una contaminazione in positivo. Forse.